lunedì 5 marzo 2007

Parlando con... Giuseppe Pericu- Il sindaco di Genova risponde alle domande dei detenuti


Perché era favorevole o contrario all’indulto?
Ero e resto favorevole all’indulto perché la situazione nelle carceri italiane non consentitva più una gestione umanamente accettabile.
Pensa che dopo l’indulto siano aumentati i reati?
Non penso che i reati siano aumentati per questo motivo, e le statistiche disponibili confermano questa impressione.
Si perdono consensi elettorali a votare a favore dell’indulto?
Perdere consensi per questo motivo è possibile, ma questo non deve frenare l’adozione di una misura necessaria.
Se mi fossi trovato al governo avrei sostenuto questo provvedimento.
Le risulta che siano state predisposte forme di sostegno per i detenuti che sono usciti con l’indulto? E le istituzioni locali sono intervenute per tempo e nelle forme adeguate?
Certo si sono verificati probelemi di ricaduta nella gestione del provvedimento abbastanza complessi, e probabilmente né lo stato né le amministrazioni locali hanno reagito in modo adeguato. Era sicuramente opportuno cha accanto all’indulto nel provvedimento fossero presenti indicazioni e risorse per svolgere gli interventi operativi necessari a accompagnare l’attuazione della legge
Pensa che il carcere abbia davvero una valenza non solo punitiva, ma anche riabilitativa?
Ho sempre pensato che il carcere dovesse avere una valenza riabilitativa.
Mi sembra, da quello che conosco, che non sia sufficientemente sviluppata questa funzione riabilitativa, e che prevalga nei fatti quella punitiva. Ciò determina anche il fatto che misure rivolte ai singoli o alla collettività dei detenuti che determinano alleviamenti della pena vengano interpretate in modo scorretto: dovremo essere tutti più convinti che il carcere serve a recuperare e rieducare.
Qual è per lei il reato più grave e quello più lieve?
I reati più gravi mi sembrano quelli della violenza contro le persone, la strage. I meno gravi quelli che vengono commessi da soggetti deboli, spesso per motivi di mera sopravvivenza.
Ma è sempre difficile e problematico stabilire graduatorie precise in questa materia.
Le sue opinioni sull’indulto come Primo cittadino e come cittadino privato coincidono?
Sì, certamente. Penso quello che ho detto sia come sindaco, sia come cittadino.
Le interesserebbe conoscere le opinioni di noi detenuti su questi e altri argomenti?
Certo, mi farebbe piacere conoscere le opinioni dei detenuti.
(Gennaio 2007)

I detenuti della redazione interna al carcere di Marassi intervistano il loro direttore

Direttore, qual è il suo ruolo istituzionale?
Devo garantire la funzionalità dell’istituto sotto il profi lo della struttura e della sicurezza e curare il trattamento rieducativo. Registro grandi diffi coltà perché i mezzi a mia disposizione sono inadeguati e c’è una grossa carenza di personale. Sono qui da tre anni e all’inizio, mi sono occupato prevalentemente della sicurezza. Ora curo l’aspetto trattamentale, che era molto carente anche se io non sono considerato un direttore trattamentale. L’inaugurazione del nuovo campo sportivo e il progetto, in fase di elaborazione, di una falegnameria e di una panetteria, ne sono la dimostrazione. Ho molti compiti, ho diviso le sezioni tra le mie due Vicedirettrici, che si occupano della prima e della seconda, mentre io della sezione attenuata e dell’alta sicurezza. Ricevo spesso lettere dai detenuti con tanti problemi e, cerco di fare quello che posso.
Crede al recupero del detenuto? Ha da raccontarci qualche episodio signifi cativo?
Ci credo, altrimenti non farei questo mestiere. Il problema del recupero è complesso perché non può avvenire soltanto con il carcere, perché accanto a un’istituzione penitenziaria con corsi scolastici, religione e altro occorre un’assistenza post-penitenziaria che si prenda carico del detenuto quando esce e deve affrontare un mare di problemi. Ho conosciuto un detenuto tossicodipendente che mi chiese l’art. 21 quando ero direttore al carcere d’Aosta, io ero scettico, ero convinto che sarebbe rientrato presto. Quel ragazzo però mi disse una cosa che mi colpì: “C’è un fatto nuovo nella mia vita: mia moglie aspetta un bambino e sono convinto che questo cambierà la mia vita.” Gli ho creduto e dopo tanti anni l’ho incontrato I detenuti della redazione interna al carcere di Marassi incontrano e intervistano il loro direttore, Salvatore Mazzeo Parlando con... alla guida di un pullman su cui ero salito.
Un detenuto è morto cadendo dal terzo piano del letto a castello: siamo in uno stato d’emergenza per il sovraffollamento? Sono previste sistemazioni per persone detenute in età avanzata?
L’incidente capitato è stato terribile. I letti a castello non dovrebbero effettivamente esistere. Mi ricordo che all’Ucciardone i letti a castello erano addirittura a cinque piani, i detenuti dovevano arrampicarsi e legarsi con un laccio per non cadere: era indecoroso. Un carcere civile non può ammettere queste cose, ma è un problema che investe la politica penitenziaria ed è più grosso di me. Tutti quanti dobbiamo sentirci offesi quando una persona muore. Siamo in uno stato d’emergenza che riguarda però tutti gli istituti penitenziari con 60.000 detenuti. Qui a Marassi ci sono 700 detenuti, mentre il numero massimo dovrebbe essere di circa 400. Tre anni fa, quando sono arrivato, c’erano 850 detenuti, ma ho cercato di non superare i 700. Alcuni istituti sono in una situazione peggiore. Il problema non si risolve solo con la costruzione di nuove carceri, ma lo si affronta con opportunità di lavoro e sovvenzionando le comunità terapeutiche, poiché un terzo dei detenuti sono tossicodipendenti. Costoro in carcere non dovrebbe proprio entrare, ma essere curati, perché hanno una situazione psico-fisica impressionante: è veramente una crudeltà tenerli qui. Sono i politici che devono intervenire. Non si può scherzare sulla pelle dei detenuti, parlando d’amnistia e creando aspettative senza mantenerle. La legge prevede, per gli ultrasettantenni, la sospensione della pena, ma non in caso di recidiva, con la legge ex Cirielli, che considero catastrofi ca. A dicembre ho partecipato ad una conferenza nazionale a Palermo sulle tossicodipendenze. E’ stata ribadita la contrarietà alle nuove disposizioni sulla recidiva dei tossicodipendenti e il ministro Giovanardi s’è impegnato a modifi care la legge su quest’aspetto ed è avvenuto.
Gli agenti hanno un ruolo solo custodiale o anche trattamentale?
Hanno un ruolo anche trattamentale, ma sono più attenti agli aspetti della sicurezza. Insegnando alla scuola di polizia penitenziaria a Cairo Montenotte sono consapevole di dover rafforzare questa cultura nel nostro personale. Alcuni episodi d’aggressività verbale, spesso dipendono da situazioni di stress psicofi sico che il detenuto deve sopportare per le sue vicende personali. E’ perciò necessario farsi anche carico dei suoi bisogni solo così il detenuto vedrà nell’agente la componente trattamentale e non solo colui che lo chiude. Perché sono trasferiti lontano detenuti che hanno qui famiglia e fi gli? La legge prevede che, nel limite del possibile, il detenuto debba stare vicino alla famiglia in ambito regionale. Ci sono trasferimenti del Dipartimento a livello centrale e del Provveditorato a livello regionale. Noi chiediamo solo il numero dei detenuti che devono essere sfollati, poi le valutazioni le fa il Dipartimento. Cerchiamo di non trasferire chi frequenta corsi scolastici, anche se il numero degli iscritti è molto alto, sono più di 200 e può accadere che qualche nominativo sfugga.
Come si può facilitare la comprensione delle regole penitenziarie a molti detenuti stranieri?
Attualmente esistono solo ordini di servizio che non tutti conoscono, stiamo lavorando al regolamento interno che faciliterà la comprensione. Abbiamo elaborato un progetto denominato Stranieri e droga e credo che sarà operativo ad aprile. Anche i detenuti elaboreranno delle proposte nei gruppi di lavoro.
Ritiene importante ristabilire il corretto funzionamento della biblioteca ?
Cercherò una soluzione a questo problema in tempi brevi per individuare uno o più responsabili. Mi sembra realizzabile l’inserimento di alcuni computer all’interno della biblioteca a disposizione dell’utenza, visto che attualmente non li autorizziamo, perché diffi cilmente ispezionabili.
E’ possibile adibire locali attrezzati per hobbistica, pittura, modellismo, ecc…?
Il problema è lo spazio: la palestra è utilizzata anche come luogo di culto, mancano aule scolastiche, ecc… sarebbe molto utile creare un piccolo laboratorio per l’hobbistica all’interno della II sezione. Ci sono detenuti di molte religioni, gli spazi sono pochi e non ho soluzioni. La religione è importante e noi vogliamo conservare le tradizioni degli stranieri e la loro cultura.
Che fondi ci sono a disposizione per migliorare la struttura scolastica?
La disponibilità fi nanziaria è limitata, non abbiamo neanche i soldi per il detenuto che esce, dobbiamo riciclare tutti i materiali. Se ci dovessero essere dei fondi, li utilizzeremo senz’altro.
Molti detenuti stranieri non possono avere il permesso di colloquio con terza persona anche italiana, perché non hanno il foglio di convivenza, ma spesso hanno dei fi gli. Cosa possono fare?
I parenti senza il permesso di soggiorno dovrebbero essere denunciati dagli agenti, quindi preferiamo evitare il problema. Il colloquio con terza persona italiana deve essere giustifi cato da ragioni particolari: atti giuridici, notarili, ecc. Se ci sono dei fi gli e c’è una certifi cazione di paternità concediamo sempre i colloqui. Perché passando dalla prima alla seconda sezione sono sospese le telefonate o i colloqui precedentemente autorizzati? Il magistrato non è vincolato al regolamento penitenziario che vincola solo noi. Il magistrato può prescindere dal regolamento e può autorizzare anche telefonate giornaliere, noi no. Con terza persona autorizziamo solo telefonate in casi urgenti, di trasferimento o con fi gli di età inferiore ai 10 anni.
Perché i detenuti stranieri e italiani che non fanno colloquio non possono ricevere almeno il pacco da persone che non hanno lo stesso cognome?
Per gli italiani si possono modifi care le disposizioni, per gli stranieri è un problema che devo affrontare. Perché non si può telefonare ai cellulari e non si può fare una domandina con un’unica autorizzazione per le quattro telefonate al mese? Una circolare che vieta il colloquio con il cellulare perché dobbiamo conoscere l’interlocutore. Ho già predisposto con il comandante un modello unico per le telefonate e si potrà fare una domanda unica.
Perché ai detenuti senza soldi non vengono mai erogati dei sussidi?
Perché non ce ne sono al momento. Essi arrivano alla fine dell’anno e noi li diamo sempre, anche perché, se no, dovremmo restituirli.
E’ possibile attivare qui un laboratorio teatrale stabile?
Abbiamo istituito un’associazione sportiva permanente, un corso per arbitri, una squadra di calcio di detenuti che partecipa ad un torneo esterno. Vogliamo stabilizzare tutte le attività, nostro obiettivo è creare una struttura teatrale stabile. Quest’anno abbiamo iniziato con un’esperienza teatrale, legata ad un corso scolastico, che si concluderà con una rappresentazione all’esterno. Mi metto le mani nei capelli, perché molti dei detenuti-attori sono ancora giudicabili e con pene abbastanza lunghe. Devo compiere un’opera di convincimento nei confronti dei magistrati per farli uscire fuori.
Si potrebbero attrezzare le sale colloquio con tavolini, per il rispetto dell’intimità familiare?
Si può fare, cercherò di eliminare i muri divisori, anche perché il nuovo regolamento non li prevede. Cercheremo di toglierli e di stabilire qualcosa di più adeguato.
Sarebbe possibile favorire gli incontri tra i detenuti e le loro mogli, come avviene in altre carceri europee, anche al fi ne di avere dei figli?
Di questo problema s’occupò, tanti anni fa, il Presidente Amato, in relazione ai problemi dell’affettività del detenuto. Ci sono due posizioni differenti: alcuni sono favorevoli, altri ritengono poco dignitoso per il detenuto avere una stanza in cui incontrarsi con la compagna. Credo sia meglio favorire i permessi premio per l’affettività. Personalmente non sarei comunque contrario.
Il compito del Ser.T è solo quello di dare metadone e psicofarmaci?
Il Ser.T dovrebbe dedicarsi totalmente al detenuto tossicodipendente sotto l’aspetto psicologico, sanitario e trattamentale per una totale presa in carico del detenuto tossicodipendente e fa da tramite con i Ser.T d’appartenenza.
Il corso odontotecnico operante a Marassi è disponibile a costruire protesi dentarie per detenuti bisognosi, con l’aiuto del dentista che lavora in carcere. Cosa ne pensa?
E’ un progetto molto interessante, verifi cate con i docenti il costo preventivo, di che tipo di locali e di materiali c’è necessità ed io valuterò la possibilità di attuarlo.
E’ possibile un ricambio più frequente delle lenzuola ed una fornitura maggiore di prodotti per la pulizia?
La questione igienico sanitaria è prioritaria, poiché la salute in carcere deve essere salvaguardata. Mi informerò e controllerò per i cambi delle lenzuola. Per i detersivi, ritengo si tratti di una disfunzione organizzativa, perché ne compriamo tanti e forse rimangono nei depositi.
E’ possibile realizzare servizi igienici nei passeggi?
Ritengo siano realizzabili. Perché qui a Marassi, si danno spesso pareri negativi sulle misure alternative, sui permessi premio e sull’art. 21?
Ci sono attualmente circa cinquanta semiliberi, per cui non mi sembra che si diano spesso pareri negativi. Bisogna seguire un certo percorso trattamentale, per primo il permesso. Il Magistrato di Sorveglianza non è vincolato al parere della Direzione e lo può dare anche con parere contrario della stessa, ma può negarlo con parere favorevole. Per il permesso noi consideriamo la condotta intramuraria ed il fi ne pena, il magistrato fa poi altri accertamenti all’esterno.
Perché spesso non è comunicato al detenuto quando prende un rapporto? Perché con le ammonizioni si perdono punti nella graduatoria del lavoro interno?
Noi non siamo tenuti a comunicare il rapporto, quando non si conclude con una sanzione disciplinare e con la convocazione del detenuto davanti al consiglio di disciplina. La legge prevede che si comunichino solo sanzioni, non rapporti. Il magistrato ci chiede la situazione e per alcuni ha una valenza il nostro rapporto, pur non seguito da sanzione. Per me quello che conta è la sanzione e se non c’è il rapporto non ha nessuna valenza, ma il magistrato è libero di fare le sue valutazioni . Con le ammonizioni si perdono punti nella graduatoria del lavoro perché, se anche la sanzione è stata sospesa c’è stata una condotta irregolare. (Giugno 2006)

Intervista a Elena Ducci, responsabile dell’Unità Operativa Ser.T. Val Bisagno e Strutture Penitenziarie della ASL 3 Genovese

Dottoressa Ducci, in che modo lavora il Ser.T. all’interno delle Carceri Genovesi?
A Genova si è scelto di avere un presidio all’interno del carcere. In questo modo si permette agli operatori di vivere maggiormente la quotidianità del carcere. Non è sempre facile; da una parte è un vantaggio avere un maggior contatto fra gli operatori, ma l’attività deve essere doppia: una sul paziente e l’altra sul “contesto carcere”. La difficoltà di mettere in rete le varie forze e la comunicazione all’interno del carcere è sempre presente.
Come e quando interviene il Ser.T. nel percorso del detenuto tossicodipendente?
I pazienti ci vengono segnalati dal medico del Ministero di Giustizia dopo la visita d’ingresso. Il medico del Ser.T. fa la diagnosi e prescrive la terapia, mantenendo un contatto con il Ser.T. territoriale in modo da assicurare una continuità di trattamento. Contemporaneamente anche lo psicologo interviene con la prima visita specifica psicologica.
Nel caso l’utente non sia seguito da un Ser.T. territoriale?
Cerchiamo di stabilire noi un contatto. Bisogna tenere presente che la persona che noi ci troviamo davanti non viene di sua spontanea volontà, e non ha posto una specifica richiesta di cura. Certo, nella maggior parte dei casi è dentro per problemi correlati al suo stato di tossicodipendenza, ma non è lui che sceglie di venire da noi (Ser.T) per avere assistenza. Il nostro obiettivo è quindi quello di “agganciare il paziente” al trattamento, di cominciare un percorso. L’urgenza a questo livello è quella di affrontare le problematiche relative all’astinenza dalla sostanza, e questo per due motivi: da un parte difatti, fa parte del codice deontologico del medico affrontare il dolore del paziente e farlo passare, ma d’altra parte, se il paziente si sente seguito e sostenuto, è più probabile che decida di continuare la terapia anche all’esterno del carcere.
Il secondo livello di assistenza?
Affrontate le problematiche base del dolore e dell’astinenza, ci sono alcuni progetti specifici in un’ottica psico-socioriabilitativa, rivolti a detenuti tossicodipendenti HIV+ presso il Centro Clinico o la sezione a Custodia Attenuata, ponte fra il carcere e le comunità esterne.
Quali sono le peculiarità del trattamento in carcere?
Principalmente il fatto che, se dal punto di vista normativo il carcere deve avere oltre la sicurezza il trattamento, in realtà nella pratica il mandato della sicurezza acquista maggior peso.
Le persone entrano dentro perché hanno commesso un reato, qualcosa di sbagliato lo hanno fatto, e l’esigenza del controllo a volte prende il sopravvento: se tu stai male e vai in una clinica privata, oltre a curarti ti chiedono se hai bisogni extra, in carcere ci si chiede perchè tu mostri di star male, cosa vuoi ottenere, se non hai secondi fini.... ecco perché è fondamentale la comunicazione fra tutti.
Altre problematiche?
Vi sono quelle di tipo clinico. Nel contesto ambulatoriale il paziente arriva autonomamente. Qui il primo pensiero è naturalmente quello di uscire dal carcere... Quindi dobbiamo prevederne l’uscita nel modo più coerente con il suo stato di salute, in modo che non vi siano frustrazioni e quindi ricadute, anche se nei primi sei mesi la percentuale di chi rientra è comunque alta.
Dalle statistiche pubblicate sui giornali, circa la metà della popolazione è straniera, e di questi molti sono senza permesso di soggiorno. Vi è uniformità nel trattamento?
Anche qui ci sono delle grandi difficoltà. Secondo la legge Jervolino/Vassalli ogni detenuto con pena inferiore ai quattro anni può richiedere misure alternative alla detenzione. Il trattamento terapeutico e l’assistenza sanitaria inoltre sono garantiti per tutti. Con la Bossi/Fini invece, vengono poste alcune condizioni, il trattamento è subordinato alla pena da scontare e alla successiva espulsione. Questo vuol dire che se si indirizza una persona in comunità studiando un percorso personalizzato di un anno e mezzo, se il detenuto ha una pena inferiore, al termine della pena va espulsa anche se non ha terminato il trattamento. E viceversa: la comunità studia un percorso di un anno, il detenuto ha da scontare tre anni, al termine del primo anno questa persona non avrà la possibilità di essere seguito ambulatorialmente perchè non ha una casa, non potrà fare un inserimento lavorativo, perchè irregolare.
Quali necessità emergono nel lavoro con extracomunitari irregolari?
Personalmente sento l’esigenza di un servizio ad hoc che si occupi di loro. Non per escluderli dai normali percorsi, ma per dare una risposta ad esigenze particolari, e fare anche in maniera che, usciti dal carcere, possano continuare il loro percorso non più da costretti, ma volontariamente. Gli stranieri affrontano le problematiche relative alla tossicodipendenza solo in carcere. Può essere utile, ma non certamente sufficiente.
Poi, bisogna tenere conto che un extracomunitario che sta per venire espulso dall’Italia ha bisogno di essere messo in condizione di acquisire della capacità professionali. In questo modo il rientro in patria può essere dignitoso, non di chi ha fallito, e si ripresenta frustrato davanti alla famiglia, ma di chi può costruirsi una vita autonoma portandosi dietro un’esperienza che può dare i suoi frutti.
Che giudizio dà sulle attività del Ser.T. in carcere?
La valutazione complessiva è buona e le offerte sono ben diversificate, in funzione delle risorse che abbiamo.
(Ottobre 2005)

Area di Servizio: dal carcere alla città

Perchè i detenuti si possano raccontare alla loro città, perchè i cittadini possano avvicinarsi al carcere, perché le istituzioni parlino con le associazioni e le associazioni con le istituzioni: per portare fuori un po’ di ciò che è “dentro” e dentro ciò che di norma è “fuori”.

Quando ci si accinge a dare inizio ad un nuovo progetto editoriale in ambito penitenziario è molto importante definire quali sono le premesse, quali gli obiettivi, chi sono i soggetti implicati e quelli che si intendono coinvolgere, come si intende procedere e infine quali i risultati attesi.
In Italia della realtà carceraria si parla molto. Non c’è giorno che i mass-media non diano risalto a qualche fatto eclatante, a qualche delitto eccellente o efferato, magari commesso da detenuti in misure alternative; oppure altri temi ricorrenti sono una generica denuncia sul sovraffollamento delle carceri, sul mal funzionamento della giustizia ed ancora su ipotetici nuovi provvedimenti legislativi: indulti, indultini, amnistie, ecc.
Per chi è costretto a viverci, per chi ci lavora e per chi presta opera di volontariato è molto evidente che la realtà penitenziaria, vista dal di dentro, è un mondo a sé. Il pianeta carcere racchiude, concentra ed esaspera le aree problematiche e le contraddizioni più vistose della società: l’immigrazione, la tossicodipendenza, la salute, la povertà, la sofferenza mentale.
Quindi gli obiettivi che ci proponiamo sono: dare voce ai detenuti, in qualità di cittadini anche se temporaneamente privati della libertà, dare voce agli operatori e alle organizzazioni che sono impegnate nel campo penale, fare dialogare le istituzioni, fare in modo che le diverse culture si mettano in comunicazione, fornire informazioni utili agli operatori sui diversi servizi che vengono erogati in ambito penale.
Per raggiungere questi obiettivi ci proponiamo di coinvolgere tutti gli enti, le organizzazioni e gli operatori che a qualche titolo sono interessati a ridurre il fossato che separa gli istituti di pena dal territorio, dalla società civile.

Editoriale del primo numero, ottobre 2005
(Enzo Paradiso)