mercoledì 27 giugno 2007

Intervista ai candidati sindaci

Il Comune, fra le competenze in materia di carcere si occupa della gestione dei servizi di accoglienza esterni e può stipulare accordi con le direzioni per progetti che consentano il lavoro socialmente utile all’esterno.
Marta Vincenzi ed Enrico Musso hanno dato la loro disponibilità a confrontarsi con la redazione: l’istituzione di un garante dei detenuti e maggiori occasioni di confronto sono alcune proposte avanzate.

E’ mai entrata/o in un carcere? Conosce le condizioni di vita all’interno?
Marta Vincenzi: Pur essendo entrata alcune volte nel carcere di Pontedecimo durante le mie precedenti esperienze amministrative in qualità di Presidente della Provincia non posso dire di conoscere a fondo la situazione delle carceri. Tuttavia una cosa me la ricordo bene: il tonfo dei cancelli che si chiudevano alle mie spalle dopo la mia prima visita al carcere. Quel rumore mi ha restituito l’idea di che cosa significhi perdere la libertà, non me lo dimenticherò mai, ce l’ho ancora in testa. Fermo restando che chi ha commesso un reato deve espiare la pena, penso che questo debba avvenire nel rispetto della sua dignità di persona. Credo che la privazione della libertà unita a situazioni di convivenza obbligata, spesso di sovraffollamento e talvolta (come nel caso degli stranieri) alla difficoltà o impossibilità di comunicazione sia una condizione penosissima, se non addirittura drammatica.
Enrico Musso: Sono entrato solo nel carcere di Genova (Marassi), e solo per traduzioni di detenuti quando facevo il servizio militare come Carabiniere Ausiliario, e successivamente come docente universitario, per fare sostenere esami a detenuti. Non conosco quindi le condizioni di vita all’interno.
Nell’ambito delle competenze assegnate al Comune per quanto riguarda il carcere, quali pensa potrebbero essere primi interventi utili?
MV: Sono convinta che il Sindaco debba farsi carico dei detenuti ospitati nelle carceri cittadine come di tutti gli altri cittadini. Sarò il Sindaco di tutti quindi, e ritengo sia importante che prosegua il lavoro sul tema della formazione e del reinserimento sociale ed occupazionale avviato in questi anni dal Comune in collaborazione con la Provincia di Genova. Proprio recentemente è stato firmato un protocollo tra Comune, Provincia e Amministrazione Penitenziaria che sigla questa significativa collaborazione. L’impegno in questo campo è a partire da chi è dietro le sbarre e poi dopo, quando queste persone saranno nuovamente libere. Non debbono essere abbandonati a se stessi. E’ un tema che riguarda tutti e il reinserimento sociale dei detenuti è questione prioritaria.
EM: In considerazione del fatto che le risorse economiche pubbliche non potranno mai garantire in toto la soddisfazione di ogni esigenza, anche per le problematiche connesse al “pianeta carcere”, mi pare anzitutto necessario che il Comune gestisca nel modo più efficiente possibile le risorse disponibili. Criterio principe dovrà essere quello della sussidiarietà orizzontale: da un lato il Comune dovrà limitare il proprio campo di intervento diretto a quei settori in cui non vi sia una sufficiente presenza del privato, dall’altro dovrà porsi come coordinatore degli interventi dei privati cui potranno delegarsi gli aspetti più pragmaticamente gestionali.
In termini più concreti la Civica Amministrazione può e deve porsi come oculato centro di coordinamento, promozione e pubblicizzazione degli interventi del volontariato per evitare inutili duplicazioni o peggio il mancato sfruttamento di alcune importanti risorse o lo spreco di preziose risorse.
L’“emergenza sicurezza” coinvolge anche chi esce dal carcere: ci si sente insicuri, magari non si ha una casa o una famiglia , i dormitori chiudono, i posti–mensa sono ridotti, l’assistenza socio-sanitaria difficile da raggiungere: Quali iniziative propone per garantire e/o potenziare strutture esterne in situazioni ordinarie o eccezionali come in occasione del recente indulto?
MV: Il tema del disagio, delle nuove povertà è una delle questioni su cui ritengo occorrerà avere la massima attenzione. Perché sempre più persone e sempre più famiglie sono pericolosamente vicine alla soglia di povertà anche a Genova. Occorrerà rafforzare tutte le strutture che sono impegnate nel difficile ambito del sostegno a chi è in difficoltà. Meno assistenzialismo e più welfare comunity, come dico spesso. Infine l’indulto, una situazione eccezionale che ha visto l’uscita dal carcere di molte persone, non ha colto impreparati gli Enti Locali del nostro territorio. Grazie alla preziosa collaborazione con le associazioni del volontariato Genova ha dato una risposta concreta. Certo si poteva fare di più e meglio ma so che non c’è stata una vera e propria emergenza come si è verificato in altre città.
EM: La recente vicenda dell’indulto, a parte ogni considerazione sulla situazione di emergenza provocata dalla scarsa avvedutezza del legislatore che ha posto i Comuni e i soggetti che operano nell’assistenza di fronte al fatto compiuto senza la previsione di interventi e risorse straordinarie, ha posto all’attenzione di tutti come il tema della sicurezza non possa prescindere dall’affrontare l’ancor più delicato tema del reinserimento dell’ex detenuto nella società.
Se, come detto, dal punto di vista dell’ordinaria amministrazione il Comune agirà secondo il principio di sussidiarietà, indirizzando i finanziamenti pubblici più verso interventi concreti che a favore di studi teorici, in un’ottica di lungo periodo lo stesso Comune dovrà porsi come soggetto promotore di un più generale ripensamento della politica di reintegrazione dell’ex detenuto nel tessuto sociale.
Ciò sarà possibile sia con il potenziamento delle occasioni di lavoro nell’ambito del carcere, sia, soprattutto, con l’incentivo della domanda di lavoro da parte delle imprese. Penso in particolare ad una più oculata gestione delle risorse previste dalla legge 266/97 per combattere il degrado di alcuni centri urbani tra cui Genova che, ove venga valorizzato con l’assegnazione di un punteggio superiore alle domande che prevedano l’assunzione di categorie svantaggiate come gli ex detenuti, potrebbero rivelarsi un punto di svolta nelle politiche di riabilitazione del condannato e, in ultima analisi, di maggior sicurezza per tutti i cittadini.
L’art. 21 (permessi di lavoro all’esterno) prevede anche un’utilizzazione dei detenuti da parte del Comune nel campo dei lavori socialmente utili. Pensa di avviare contatti con la Direzione della Casa circondariale per rendere più sistematica l’applicazione di questa possibilità?
MV: Credo senz’altro che rafforzeremo i rapporti e la collaborazione con le Direzioni delle Case Circondariali di Marassi e Pontedecimo per rendere continuativa l’esperienza dei lavori socialmente utili. Ritengo si tratti di una occasione importante per i detenuti ma anche per il nostro territorio e i cittadini genovesi. Nell’interesse di tutti.
EM: Le esigenze di riabilitazione del mondo carcerario e quelle manutentive del Comune sono perfettamente coniugabili con la sistematica utilizzazione delle possibilità concesse dall’art. 21 e in tale ottica logicamente mi rapporterò agli organi preposti per incentivarne l’applicazione.
Pare ovvio che il carcere oltre a momento di doverosa espiazione di una pena possa e debba diventare luogo in cui cominciare la riabilitazione del condannato soprattutto per quanto attiene all’aspetto lavorativo.D’altro lato penso sia sotto gli occhi di tutti come, anche eliminando gli sprechi e le inefficienze oggi presenti nella macchina comunale, le risorse sempre più scarse rischino di compromettere la fruizione di un patrimonio della collettività come gli spazi verdi, i litorali, le zone a monte..
In carcere c’è una scuola, frequentata da italiani e stranieri. Per questi ultimi alcuni diritti valgono solo fino a che sono carcerati: fermi restando i vincoli della legislazione nazionale, pensa sia possibile fare qualcosa per evitare che i numerosi stranieri, in maggioranza giovani, che dentro il carcere godono di diritti relativi allo studio e all’assistenza sanitaria, non vengano abbandonati a se stessi una volta usciti?
MV: Ovviamente i limiti dell’attuale legislazione in materia di immigrazione pongono vincoli insormontabili. Ritengo però che, tramite un accordo tra gli Enti Locali, si possa e si debba fare di più per garantire, ad esempio ai semiliberi, diritti fondamentali come l’istruzione, la formazione e l’assistenza sanitaria di base.
Penso poi che in questo ambito potrebbe avere molta importanza l’introduzione della figura del Garante dei diritti dei detenuti, esperienza già collaudata in alcune realtà del nostro Paese.
EM: Il problema non è certo di immediata soluzione, ma come Sindaco penso di impegnarmi nei confronti delle istituzioni competenti affinché gli intenti di integrazione da parte degli ex detenuti non vengano frustrati da quella che, in questi casi, somiglia più ad un abbandono che ad una liberazione.
Come pensa di promuovere e garantire forme di volontariato capaci di intervenire nell’ambito carcerario fornendo un servizio continuativo, di qualità, adeguato ai molteplici bisogni che qui si manifestano?
MV: So che sono molte le organizzazioni di volontariato impegnate in ambito penale. Una realtà preziosa della nostra città che integra il lavoro professionale della cooperazione sociale e delle organizzazioni no profit. A tutte queste andrà dato maggiore sostegno e ritengo che il Comune potrà essere il punto di sintesi e di coordinamento di questo importante lavoro.
EM: Attraverso un’oculata gestione dei finanziamenti che incentivi le realtà più utili al perseguimento dell’obiettivo principe di questo settore che dev’essere quello di offrire la possibilità di risocializzazione dell’ex detenuto.
Se servizi quali dormitori, centri di accoglienza, mense, etc (di competenza comunale) vengono dati in gestione al privato-sociale o ad associazioni di volontariato, come è possibile per il Comune verificarne la qualità, la funzionalità e la adeguata formazione del personale?
MV: Ritengo che l’esperienza della Consulta carcere città, che nel passato ha dato buoni frutti, vada aggiornata e rafforzata.
EM: Nella gestione dei finanziamenti e nella scelta dei soggetti cui avvalersi il Comune deve effettuare precisi e sistematici controlli, non soltanto formali, ma soprattutto di raggiungimento degli obiettivi. Il controllo sulla qualità del servizio reso è il necessario completamento di un principio generale che fa ricorso al privato e al volontariato.
La gestione del piazzale antistante il carcere è comunale: due ore prima di ogni partita di calcio gli agenti di polizia penitenziaria e il personale debbono uscire a spostare le loro auto. A volte vi sono auto abbandonate, e la rimozione non sempre avviene rapidamente. Sarebbe un simbolo del rispetto verso il loro lavoro ipotizzare una differente organizzazione: secondo Lei cosa è possibile fare?
MV: Sono convinta che il lavoro della Polizia Penitenziaria sia un lavoro difficile e particolare. Nel caso dei posteggi sul piazzale antistante il carcere in occasione delle partite mi adopererò perché, compatibilmente con le esigenze di sicurezza ed ordine pubblico, sia possibile trovare una soluzione soddisfacente.
EM: La gestione di quel piazzale è sì comunale, ma rimane molto spesso vincolata da esigenze di ordine pubblico. Questo, però, non significa che si possa continuare ad ignorare la posizione di quanti si trovino a sostare su detto piazzale per ragioni di servizio ed in special modo con quanti operino all’interno della Casa Circondariale.
Sarà dunque un mio impegno come Sindaco verificare la possibilità di soluzioni che, pur garantendo gli standard di ordine pubblico impostici, eliminino la discriminazione a danno di quanti operino all’interno della struttura carceraria.
Penso in particolare ad una modifica della disciplina della zsl che includa tra gli aventi diritto gli operatori della casa circondariale, magari anche individuando un’area appositamente riservata.
Al di là di leggi e regolamenti, cosa possiamo fare noi per voi, e cosa potete fare voi per noi?
MV: La cosa che tutti, noi e voi, possiamo fare è tenerci in contatto costante. Il carcere non deve essere un mondo a parte, è una parte della città e chi vi è detenuto è una persona, un cittadino, privato temporaneamente della libertà, ma con diritti e doveri come gli altri. Un rapporto tra il dentro e il fuori è fondamentale. Infatti spesso chi ha sbagliato è partito da pesanti condizioni di svantaggio, materiale e immateriale. Ritengo che progetti e interventi mirati a dare risposta ai grandi temi del lavoro e della inclusione sociale possano dare un contributo essenziale per evitare o diminuire fenomeni di disagio e di devianza.
EM: Credo che sia fondamentale mantenere un rapporto sistematico per far conoscere di volta in volta le esigenze che diventano più pressanti e i contributi che l’amministrazione potrebbe offrire alla soluzione dei problemi.
Invitiamo il futuro Sindaco di Genova a venirci a trovare, una volta insediato: sarebbe d’accordo con noi quando auspichiamo che incontri come questo possano assumere carattere periodico?
MV: Una delle prime cose che farò se diventerò Sindaco di Genova sarà venirvi ad incontrare e spero che sia l’inizio di un rapporto e di una collaborazione continuativa.
EM: Assolutamente d’accordo. Come Sindaco avrò particolarmente a cuore il tema della sicurezza dei cittadini e il confronto con quanti operino a vario titolo per il perseguimento di questo obiettivo sarà certamente prezioso.
Le interesserebbe far parte del Comitato dei Garanti del nostro giornale?
MV: Vi ringrazio della proposta. Questo giornale, un ponte tra il carcere e la realtà cittadina, è uno strumento prezioso di conoscenza reciproca, che come ho detto, ritengo indispensabile per molte ragioni. Vi do fin da ora la mia disponibilità a far parte del Comitato dei Garanti.
EM: Sono sicuramente interessato, anche per “istituzionalizzare” il rapporto ed avere così più e migliori occasioni di scambio di idee e di informazioni.

martedì 26 giugno 2007

Carcere in attività

Scopini e magazzinieri, cuochi e spesini: vi sono, all’interno del carcere, alcune mansioni affidate ai detenuti stessi. Sono lavori che garantiscono uno stipendio a chi ha necessità di acquistare generi di sopravvitto, vivere il proprio tempo in maniera attiva, confrontarsi con i compiti che ciascun mestiere comporta. Vi presentiamo uno spaccato della vita di alcuni lavoranti a Marassi.

FLAVIO, SCOPINO AVVOCATI
Sono lo scopino dell’ufficio avvocati: una piccola isola con parvenza di felicità. Lavoro da sei mesi dalle 9,30 alle 12 e dalle 13 alle 15. Un Assistente accoglie gli avvocati, controlla se l’avvocato è quello giusto, cerca il detenuto telefonando all’Agente al piano. Se la linea telefonica è impegnata, mi consegna un foglietto, “il testimone”, con nome, cognome, sezione, nome dell’avvocato ed io volo a rintracciare il detenuto.
A volte è difficile perchè non lo si trova, è a scuola, è al campo di calcio e pertanto il mio è un lavoro che funziona zoppicando. Il tam tam del carcere avverte subito quale avvocato è arrivato e allora qualcuno, anche se non è segnato sulla lista, mi chiede di domandare all’avvocato se lo può chiamare. Io cerco di fare bene il mio lavoro, lo faccio per i miei compagni e così mi sento a posto come uomo. Ho anche un ottimo rapporto con l’Assistente.
DAVIDE, BIBLIOTECARIO
In realtà non sono proprio il bibliotecario. La Direzione mi ha dato questo lavoro il 1° Febbraio 2007 e non c’era bibliotecario da giugno 2005.Non so perchè l’ho avuto, forse in base alla graduatoria. Sono pagato come scopino della biblioteca, ma lo farei anche gratis, perché ritengo fondamentale la lettura in carcere. Il mio orario è tra le 8,30 e le 12. Una volta alla settimana vengono a dare il loro aiuto volontario due signore, due ex insegnanti.
È impossibile conoscere il numero esatto dei volumi presenti: l’elenco vecchio è stato aggiornato secondo i metodi delle pubbliche biblioteche della Regione Liguria, ma non può essere stampato, perchè, pur avendo un computer, non c’è la stampante, rotta da tempo e spero che qualcuno ce ne possa regalare una.
MARIANO, MAGAZZINIERE UFFICIO SPESA
Faccio il magazziniere all’ufficio spesa. Lavoro dal lunedì al sabato, da circa un anno e otto mesi. Sono soddisfatto, ho un lavoro fisso, sono più libero: noi lavoranti, infatti, alloggiamo al quarto piano e siamo aperti dalle 8.30 alle 19.
Io e un altro andiamo in magazzino con l’elenco del sopravvitto e prendiamo la roba, la mettiamo nella cesta e la portiamo ai piani, poi vengono gli spesini a prenderla. La spese ordinaria è consegnata 2 volte la settimana, la spesa straordinaria, per i nuovi giunti, si fa 2/3 volte la settimana. Lavorando al mattino sono riuscito ad andare a scuola. All’ufficio spesa siamo in 12. Nelle sezioni di alta sicurezza, di custodia attenuata e quella dei protetti non possiamo entrare.
Non ci sono problemi, ma a volte ci sono errori nella battitura e si consegnano 5 cartine invece di 5 cartoline, panna invece che pane bianco.
MICHELE, OPERAIO EDILE ART. 21 COOPERATIVA FIERA DEL MARE
Sono operaio edile alla cooperativa della Fiera del mare. Lavoro al padiglione 5, scarico dai camion con il muletto i blocchi di cemento che vengono messi in mare per ampliare il molo. L’orario è dalle 8 alle 17. Esco dal carcere alle 7.45 e rientro alle 18. Non ho scelto io il lavoro, mi hanno chiamato, ero contento, non uscivo da più di 2 anni. Al mattino prendo l’autobus 48 e vado in Fiera, pranzo in un bar, posso avere fino a 30 euro, pago autobus e cibo. Quando torno devo ridare il resto e finché non spendo tutti i 30 euro non me ne danno altri, devo portare gli scontrini. Non è un lavoro duro, devo mettere tavolette di legno sotto i blocchi di cemento. Siamo in 2, più il principale che è gentile. Ho lavorato qualche giorno e ora che sono fermo, non so cosa fare. Possono farmi i controlli delle urine per appurare se ho assunto sostanze stupefacenti o se ho abusato di alcool, quando rientro la sera. Il lavoro durerà fino a settembre.
MICHELANGELO, MOF IDRAULICO
Da quanto tempo lavori?
Da 20 giorni.
Hai fatto altri lavori?
3 mesi come scopino in prima sezione.
Cos’è l’idraulico?
Manutenzione in genere, sanitari, lavelli ecc.. Manca l’attrezzatura e per i lavori grossi noi smantelliamo e prepariamo il lavoro per la ditta esterna.
Avevi già lavorato come idraulico?
22 anni come installatore termoidraulico (riscaldamento). Ero alto in graduatoria, sono passato dalla 1° alla 2° sezione grazie al magistrato di sorveglianza e al direttore perché sono diventato appellante. In 2° sezione ogni 6 mesi distribuiscono dei moduli da compilare e ognuno può indicare la sua specializzazione .
Lavori sempre?
Si, sono sempre reperibile anche di notte e di domenica.
Orario?
9.00-15.30, con 2 giorni di ferie al mese. Se una cella ha bisogno, chiama l’agente della MOF e in giornata il problema viene risolto. Sono soddisfatto perché è il mio lavoro, lo stipendio non è alto ma… si vive. Comunque ho potuto frequentare anche la scuola e partecipare allo spettacolo teatrale.
Quali sono i guasti più frequenti?
Sciacquone e scarichi.
FATELLAH, AIUTO CUOCO
Lavoro da 5 mesi. Dopo un periodo di prova grazie all’esperienza del passato sono diventato aiuto cuoco. Alle 7 scaldiamo il latte e il caffè. Siamo in 3: il cuoco e due aiuto cuoco. Gli inservienti vanno al magazzino con l’agente per prendere la spesa del giorno e portarla in cucina con il foglio della conta. Il menù è ogni giorno diverso ed è fissato dal Ministero di Giustizia mediante una tabella stagionale.
Ogni lavorante è specializzato in qualche cosa (tagliare l’insalata, pelare le patate ecc.). I coltelli sono sempre in un armadietto chiuso e quando si usano la cucina dev’essere chiusa. Tutti noi siamo responsabili dei coltelli e ogni 10 minuti controlliamo che non ne manchi nessuno. Quando arriva la commissione mensa, i coltelli vengono chiusi nell’armadietto. La cucina è dotata di un’attrezzatura valida anche se insufficiente per preparare il cibo per 700 persone. Le quantità ministeriali vengono rispettate. Abbiamo stivali, camice e cuffia, guanti. Il mangiare che rimane viene buttato, tranne gli alimenti confezionati. Assaggio sempre quello che preparo.
I lavoranti della cucina, soprattutto il cuoco e l’aiuto, sono i più importanti di tutto il carcere: ci vogliono persone sveglie, capaci e precise, perché l’orario deve essere rispettato e le porzioni devono essere giuste. Alle 10 del mattino è tutto pronto, tranne la pasta che, dato l’alto numero dei detenuti, viene calata nel bollitore in 5 riprese.
Tutta la pasta cuoce in circa 25 minuti e viene condita in una sola volta.
WALTER , MOF (UN PO’ DI TUTTO)
Lavoro da 4/5 giorni. Mi occupo di manutenzione: muratura, idraulica, falegnameria. Le attrezzature a disposizione sono sufficienti, ma sono consapevole di lavorare un carcere e quindi a volte mi devo adattare. Non ho libertà di iniziativa: a volte vorrei svolgere il lavoro in modo diverso, anche perché ho una buona esperienza esterna, ma non posso e devo seguire le indicazioni degli agenti responsabili del reparto. Fra tutti i lavori in carcere, questo è quello che preferisco, perché almeno so quello che faccio. Alla MOF siamo in 5. Il lavoro l’ho avuto in base alla graduatoria (ero il primo) e forse anche in base alla mia esperienza nel settore.
FERDINANT, SPESINO
Lavoro da 9 mesi all’Ufficio spesa. Orario: dalle 8.30 alle 12.30. Il mio compito di scrivano è trascrivere in una specie di computer (terminale) l’elenco della spesa dei detenuti. I detenuti scrivono l’elenco dei generi che desiderano acquistare come sopravvitto, su un libretto in dotazione dove è indicato il numero di conto corrente e la cifra a disposizione. Mi occupo di circa 200 detenuti: prima dell’indulto erano molti di più. Il lavoro mi è stato assegnato in base alla graduatoria. Mi piace, anche se è un po’ faticoso mentalmente e si può sbagliare. Se non ho finito il lavoro alle 12,00 spesso lo continuo perché è permesso. Questo tipo di lavoro mi permette di frequentare la scuola e anche l’attività teatrale. È bello lavorare qui dentro, si è più aperti. Nell’Ufficio spesa lavorano 2 scrivani, 2 magazzinieri (questi sono fissi) e 7 portaspesa che ruotano ogni 3 mesi. Secondo me anche i portaspese dovrebbe essere fissi oppure lavorare per più mesi.
ROSARIO, PANE E FRUTTA
Per sei giorni alla settimana l’orario di lavoro è dalle 8.15 alle 11.15. Per due giorni alla settimana c’è anche un’ora al pomeriggio. Alle 8.15 scendo, vado in magazzino dove c’è il sopravvitto e il vitto della casanza.
Carichiamo sui carrelli il pane e la frutta per tutte le sezioni. Li portiamo in cucina, dividiamo pane e frutta per ogni sezione in base al numero di detenuti fornito dall’appuntato. Verso le 11.30 si riportano i carrelli in cucina e si buttano le cassette vuote della frutta negli spazi predisposti. Se manca qualche lavorante in cucina noi facciamo il “jolly” fino alle 12,30 circa e qualche volta anche di pomeriggio. Due giorni alla settimana, di pomeriggio, per un’ora circa, dobbiamo pulire i corridoi dalla cucina alla rotonda.

TOMMASO LAVANDERIA
Lavoro da cinque mesi in lavanderia dalle nove alle quattordici, dal lunedì al sabato, con una pausa da mezzogiorno all’una. Ogni giorno ritiro con un carrello circa ottanta lenzuola e federe per il lavaggio, dividendo il lavoro per sezione e piano. Al CDT il cambio è una volta alla settimana, nelle altre sezioni ogni otto-dieci giorni, ma prima dell’indulto era di più. La caldaia ora funziona, a volte si rompe. Se le lenzuola sono rovinate le buttiamo. Abbiamo un rullo per stirarle, ma lo usiamo per asciugare quando si rompe la caldaia.

La parola a un sindacalista della Polizia Penitenziaria

Roberto Martinelli, assistente capo di Polizia Penitenziaria da vent’anni, è il segretario generale aggiunto del SAPPE, primo sindacato di Polizia Penitenziaria, con 12.000 iscritti.
Ci confrontiamo con lui per capire quali siano i problemi che affrontano quotidianamente gli agenti di Polizia Penitenziaria nello svolgimento del loro lavoro e ascoltiamo alcune proposte avanzate dal suo Sindacato.

Il carcere, lo abbiamo già notato, è un pianeta chiuso. La popolazione civile non sa bene cosa vi accade, chi ci stia e come ci si lavori.
Questa legge vale anche per le 40.000 persone con il basco azzurro della Polizia Penitenziaria,
che ogni mattina vi entrano e vi passano gran parte della propria giornata a contatto con situazioni di forte disagio, in condizioni lavorative tutt’altro che facili: si lavora spesso su turni di otto ore, e fino a prima dell’indulto un agente poteva restare anche solo con cento, centotrenta detenuti, gestendo anche problemi relazionali e situazioni di crisi. Molto spesso poi, dopo otto ore passate in carcere, si va in caserma, poiché le necessità di organico richiedono trasferimenti a più di seicento, ottocento, mille chilometri dalle città di origine. In queste condizioni, ci sono pochi stimoli a andarsene in giro in città poco conosciute e a spendere soldi che dovrebbero servire alla propria famiglia.
Il disagio e la sofferenza, il rischio di burn-out – lo stress lavorativo di cui spesso si parla per gli operatori che lavorano nel disagio - sono evidenti e palpabili.
La formazione è comunque parziale, perché in aula è difficile presentare le difficoltà pratiche che si incontrano quotidianamente.
Eppure ci sono delle motivazioni che permettono di affrontare il proprio lavoro con competenza ed attenzione: Roberto Martinelli ci racconta dove vengono le gratificazioni e l’entusiasmo: “Quando vieni assunto, fai un corso di formazione ‘esterno’, ma il grosso del lavoro avviene quando cominci a entrare nel carcere, e sei sostenuto dai tuoi colleghi, in particolare quelli con più anzianità di servizio”. Lo scollamento fra teoria e realtà è evidente, ed affrontabile solo grazie al forte spirito di corpo, che fa sì che i colleghi più anziani si occupino dei nuovi arrivati istruendoli e sostenendoli nelle diverse necessità. “Le gratificazioni ci sono”, prosegue Martinelli, “e si basano sulla consapevolezza di far parte di un Corpo molto importante per lo Stato, cui spetta uno dei compiti più difficili”.
Le difficoltà maggiori risiedono nella lontananza da casa di cui soffrono molti agenti, nella continua carenza d’organico (sì, anche dopo l’indulto!) che costringe a ridurre sempre più i momenti di formazione, quando previsti, ad allungare i turni e a lavorare da soli. E’ anche un lavoro pericoloso, chi lo compie sa di essere identificato come “rappresentante dello Stato” prima che come persona, e il rischio di venire colpito in quanto simbolo esiste sempre. Le minacce sono ancora abbastanza comuni.
Concentrando l’attenzione sulla situazione genovese, Marassi è priva di serie strutture ricreative per gli agenti e all’interno non vi sono biblioteche o spazi destinati.
Chiediamo a Martinelli come vede il carcere oggi, come è cambiato rispetto a trent’anni fa, e come vede il suo futuro. Un dibattito sul carcere che vogliamo non può prescindere dal confronto con chi ci lavora tutti i giorni, e Martinelli ci propone riflessioni attente e precise, avanzando ipotesi e proposte attuabili a livello locale e nazionale.
“Il carcere rispetto a trent’anni fa è cambiato profondamente, ci sono tre categorie di individui che prima degli anni novanta non esistevano: gli extracomunitari, i tossicodipendenti e sieropositivi-malati di HIV, insomma, i rappresentanti del nuovo disagio sociale, e quel che è peggio, è che negli ultimi anni le tre classi si vanno ritrovando sempre più nella stessa persona”.
Occorre ripensare al ruolo del carcere e alle modalità di attuazione della pena: Martinelli introduce una proposta moderna, e ne articola le condizioni: “Secondo noi del SAPPE, il carcere dovrebbe essere destinato solo ai veri delinquenti: chi si è macchiato di reati di mafia, assassini, chi ha commesso fatti di reale gravità. Per tutti gli altri, non è altro che una scuola di criminalità, dove vengono a conoscere ancora meglio legami e regole della microcriminalità cittadina”. Egli stesso concorda con chi vede il carcere oggi come una vera discarica sociale. Questo non vuol dire però che se il disagio sociale finisce per evolversi in un reato, questo non debba essere punito con fermezza: “Nella Legge Bossi-Fini vi è un articolo, poco attuato, che prevede il lavoro socialmente utile, non pagato, come pena per reati di lieve entità, magari anche solo quelli con pene sotto l’anno, in alternativa al carcere: la proposta del SAPPE è questa, ripensare la pena e la sua attuazione, e contemporaneamente ripensare il ruolo della Polizia Penitenziaria. Creare due differenti settori, uno destinato al mantenimento dell’ordine interno, ed un secondo, nuovo, per la gestione e l’organizzazione della pena per chi in carcere , considerata l’esiguità delle pena, sarebbe preferibile non entrasse.
Alcuni di questi compiti, come la verifica della presenza per chi ha l’obbligo di firma attualmente la effettuano i Carabinieri, è necessario studiare una collaborazione con le varie forze di Polizia, ma la Polizia Penitenziaria può gestire lo svolgimento della pena dal principio alla fine, collaborando anche con assistenti sociali e associazioni del terzo settore e del volontariato dove i condannati a pene lievi potrebbero lavorare per ripagare il danno alla società”.
Anche il ruolo della stesso Corpo di Polizia Penitenziaria affronterebbe la sfida di una nuova ridefinizione dei compiti e dei ruoli, e contribuirebbe a rendere meno nascosto il mondo carcerario, lavorando in mezzo alla gente, nella città.
Accanto al potenziamento dell’Area Penale Esterna, il SAPPE ha altre proposte per migliorare il lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria: innanzi tutto, la possibilità di effettuare concorsi su base regionale che garantirebbe una maggior vicinanza a casa, riducendo notevolmente i problemi dei trasfertisti. Poi bisogna aumentare il coinvolgimento della popolazione cittadina, che si renda conto che i problemi del carcere sono i problemi di tutta la cittadinanza (basta pensare all’ “emergenza sicurezza” evocata nei momenti di crisi), e una maggiore attenzione da parte degli enti locali.
Riguardo alla situazione particolare genovese, sarebbe auspicabile una collaborazione con il Comune, per una migliore qualità della vita degli agenti, per avere degli alloggi esterni, magari per quegli agenti che desiderano ricongiungersi alla propria famiglia, in zone residenziali adatte.
Dal Comune ci si aspetta anche il rispetto verso chi fa un lavoro non facile, anche se poco visibile, dentro le quattro mura del carcere, a partire dalle piccole cose; ci facciamo noi stessi promotori di una richiesta al futuro sindaco di Genova: la definizione di una gestione del piazzale antistante il Carcere di Marassi volta al rispetto di chi vi lavora, e vi trova carcasse di auto abbandonate da mesi che nessuno porta via, e lo studio di una soluzione per la tragicomica situazione che si ripresenta due ore prima di ogni partita di calcio, quando agenti e lavoratori dall’interno del Carcere devono uscire a cercare un nuovo parcheggio fuori dalla zona a traffico limitato, per lasciare il piazzale disponibile ai pullman delle tifoserie esterne. Sarebbe un gesto di attenzione e di riconoscimento dell’importanza del lavoro che si sta svolgendo all’interno del carcere, nell’interesse di tutta la città.

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Gli agenti di polizia penitenziaria sono in Italia 42.642 (Dati Dipartimento Amm.ne Penitenziaria- Ministero della Giustizia). Sono uomini (39.337) e donne (3.305), divisi nelle sezioni detentive maschili e femminili.
Lavorano in carcere su turni di ventiquattro ore: sono le persone maggiormente a contatto con i detenuti. Per essere agente di polizia penitenziaria occorre un diploma di istruzione secondaria di primo grado, ma il numero dei laureati è in costante crescita.
Superata una selezione nazionale si frequenta un corso di formazione di 12 mesi. A contratto, sono previste dodici giornate di formazione ogni anno, sei sull’uso delle armi e sugli aggiornamenti tecnici, altre sei su compiti differenti e definiti in base alle necessità.
Le selezioni sono nazionali: gli agenti vengono mandati nelle diverse carceri a seconda delle esigenze. Per questo motivo, sono numerosi gli agenti che lavorano a distanza dalla proprie residenze, vivendo in caserme vicino al luogo di lavoro, e facendo per anni i pendolari su lunghe distanze.