
venerdì 29 giugno 2007
mercoledì 27 giugno 2007
Intervista ai candidati sindaci
Il Comune, fra le competenze in materia di carcere si occupa della gestione dei servizi di accoglienza esterni e può stipulare accordi con le direzioni per progetti che consentano il lavoro socialmente utile all’esterno.
Marta Vincenzi ed Enrico Musso hanno dato la loro disponibilità a confrontarsi con la redazione: l’istituzione di un garante dei detenuti e maggiori occasioni di confronto sono alcune proposte avanzate.
E’ mai entrata/o in un carcere? Conosce le condizioni di vita all’interno?
Marta Vincenzi: Pur essendo entrata alcune volte nel carcere di Pontedecimo durante le mie precedenti esperienze amministrative in qualità di Presidente della Provincia non posso dire di conoscere a fondo la situazione delle carceri. Tuttavia una cosa me la ricordo bene: il tonfo dei cancelli che si chiudevano alle mie spalle dopo la mia prima visita al carcere. Quel rumore mi ha restituito l’idea di che cosa significhi perdere la libertà, non me lo dimenticherò mai, ce l’ho ancora in testa. Fermo restando che chi ha commesso un reato deve espiare la pena, penso che questo debba avvenire nel rispetto della sua dignità di persona. Credo che la privazione della libertà unita a situazioni di convivenza obbligata, spesso di sovraffollamento e talvolta (come nel caso degli stranieri) alla difficoltà o impossibilità di comunicazione sia una condizione penosissima, se non addirittura drammatica.
Enrico Musso: Sono entrato solo nel carcere di Genova (Marassi), e solo per traduzioni di detenuti quando facevo il servizio militare come Carabiniere Ausiliario, e successivamente come docente universitario, per fare sostenere esami a detenuti. Non conosco quindi le condizioni di vita all’interno.
Nell’ambito delle competenze assegnate al Comune per quanto riguarda il carcere, quali pensa potrebbero essere primi interventi utili?
MV: Sono convinta che il Sindaco debba farsi carico dei detenuti ospitati nelle carceri cittadine come di tutti gli altri cittadini. Sarò il Sindaco di tutti quindi, e ritengo sia importante che prosegua il lavoro sul tema della formazione e del reinserimento sociale ed occupazionale avviato in questi anni dal Comune in collaborazione con la Provincia di Genova. Proprio recentemente è stato firmato un protocollo tra Comune, Provincia e Amministrazione Penitenziaria che sigla questa significativa collaborazione. L’impegno in questo campo è a partire da chi è dietro le sbarre e poi dopo, quando queste persone saranno nuovamente libere. Non debbono essere abbandonati a se stessi. E’ un tema che riguarda tutti e il reinserimento sociale dei detenuti è questione prioritaria.
EM: In considerazione del fatto che le risorse economiche pubbliche non potranno mai garantire in toto la soddisfazione di ogni esigenza, anche per le problematiche connesse al “pianeta carcere”, mi pare anzitutto necessario che il Comune gestisca nel modo più efficiente possibile le risorse disponibili. Criterio principe dovrà essere quello della sussidiarietà orizzontale: da un lato il Comune dovrà limitare il proprio campo di intervento diretto a quei settori in cui non vi sia una sufficiente presenza del privato, dall’altro dovrà porsi come coordinatore degli interventi dei privati cui potranno delegarsi gli aspetti più pragmaticamente gestionali.
In termini più concreti la Civica Amministrazione può e deve porsi come oculato centro di coordinamento, promozione e pubblicizzazione degli interventi del volontariato per evitare inutili duplicazioni o peggio il mancato sfruttamento di alcune importanti risorse o lo spreco di preziose risorse.
L’“emergenza sicurezza” coinvolge anche chi esce dal carcere: ci si sente insicuri, magari non si ha una casa o una famiglia , i dormitori chiudono, i posti–mensa sono ridotti, l’assistenza socio-sanitaria difficile da raggiungere: Quali iniziative propone per garantire e/o potenziare strutture esterne in situazioni ordinarie o eccezionali come in occasione del recente indulto?
MV: Il tema del disagio, delle nuove povertà è una delle questioni su cui ritengo occorrerà avere la massima attenzione. Perché sempre più persone e sempre più famiglie sono pericolosamente vicine alla soglia di povertà anche a Genova. Occorrerà rafforzare tutte le strutture che sono impegnate nel difficile ambito del sostegno a chi è in difficoltà. Meno assistenzialismo e più welfare comunity, come dico spesso. Infine l’indulto, una situazione eccezionale che ha visto l’uscita dal carcere di molte persone, non ha colto impreparati gli Enti Locali del nostro territorio. Grazie alla preziosa collaborazione con le associazioni del volontariato Genova ha dato una risposta concreta. Certo si poteva fare di più e meglio ma so che non c’è stata una vera e propria emergenza come si è verificato in altre città.
EM: La recente vicenda dell’indulto, a parte ogni considerazione sulla situazione di emergenza provocata dalla scarsa avvedutezza del legislatore che ha posto i Comuni e i soggetti che operano nell’assistenza di fronte al fatto compiuto senza la previsione di interventi e risorse straordinarie, ha posto all’attenzione di tutti come il tema della sicurezza non possa prescindere dall’affrontare l’ancor più delicato tema del reinserimento dell’ex detenuto nella società.
Se, come detto, dal punto di vista dell’ordinaria amministrazione il Comune agirà secondo il principio di sussidiarietà, indirizzando i finanziamenti pubblici più verso interventi concreti che a favore di studi teorici, in un’ottica di lungo periodo lo stesso Comune dovrà porsi come soggetto promotore di un più generale ripensamento della politica di reintegrazione dell’ex detenuto nel tessuto sociale.
Ciò sarà possibile sia con il potenziamento delle occasioni di lavoro nell’ambito del carcere, sia, soprattutto, con l’incentivo della domanda di lavoro da parte delle imprese. Penso in particolare ad una più oculata gestione delle risorse previste dalla legge 266/97 per combattere il degrado di alcuni centri urbani tra cui Genova che, ove venga valorizzato con l’assegnazione di un punteggio superiore alle domande che prevedano l’assunzione di categorie svantaggiate come gli ex detenuti, potrebbero rivelarsi un punto di svolta nelle politiche di riabilitazione del condannato e, in ultima analisi, di maggior sicurezza per tutti i cittadini.
L’art. 21 (permessi di lavoro all’esterno) prevede anche un’utilizzazione dei detenuti da parte del Comune nel campo dei lavori socialmente utili. Pensa di avviare contatti con la Direzione della Casa circondariale per rendere più sistematica l’applicazione di questa possibilità?
MV: Credo senz’altro che rafforzeremo i rapporti e la collaborazione con le Direzioni delle Case Circondariali di Marassi e Pontedecimo per rendere continuativa l’esperienza dei lavori socialmente utili. Ritengo si tratti di una occasione importante per i detenuti ma anche per il nostro territorio e i cittadini genovesi. Nell’interesse di tutti.
EM: Le esigenze di riabilitazione del mondo carcerario e quelle manutentive del Comune sono perfettamente coniugabili con la sistematica utilizzazione delle possibilità concesse dall’art. 21 e in tale ottica logicamente mi rapporterò agli organi preposti per incentivarne l’applicazione.
Pare ovvio che il carcere oltre a momento di doverosa espiazione di una pena possa e debba diventare luogo in cui cominciare la riabilitazione del condannato soprattutto per quanto attiene all’aspetto lavorativo.D’altro lato penso sia sotto gli occhi di tutti come, anche eliminando gli sprechi e le inefficienze oggi presenti nella macchina comunale, le risorse sempre più scarse rischino di compromettere la fruizione di un patrimonio della collettività come gli spazi verdi, i litorali, le zone a monte..
In carcere c’è una scuola, frequentata da italiani e stranieri. Per questi ultimi alcuni diritti valgono solo fino a che sono carcerati: fermi restando i vincoli della legislazione nazionale, pensa sia possibile fare qualcosa per evitare che i numerosi stranieri, in maggioranza giovani, che dentro il carcere godono di diritti relativi allo studio e all’assistenza sanitaria, non vengano abbandonati a se stessi una volta usciti?
MV: Ovviamente i limiti dell’attuale legislazione in materia di immigrazione pongono vincoli insormontabili. Ritengo però che, tramite un accordo tra gli Enti Locali, si possa e si debba fare di più per garantire, ad esempio ai semiliberi, diritti fondamentali come l’istruzione, la formazione e l’assistenza sanitaria di base.
Penso poi che in questo ambito potrebbe avere molta importanza l’introduzione della figura del Garante dei diritti dei detenuti, esperienza già collaudata in alcune realtà del nostro Paese.
EM: Il problema non è certo di immediata soluzione, ma come Sindaco penso di impegnarmi nei confronti delle istituzioni competenti affinché gli intenti di integrazione da parte degli ex detenuti non vengano frustrati da quella che, in questi casi, somiglia più ad un abbandono che ad una liberazione.
Come pensa di promuovere e garantire forme di volontariato capaci di intervenire nell’ambito carcerario fornendo un servizio continuativo, di qualità, adeguato ai molteplici bisogni che qui si manifestano?
MV: So che sono molte le organizzazioni di volontariato impegnate in ambito penale. Una realtà preziosa della nostra città che integra il lavoro professionale della cooperazione sociale e delle organizzazioni no profit. A tutte queste andrà dato maggiore sostegno e ritengo che il Comune potrà essere il punto di sintesi e di coordinamento di questo importante lavoro.
EM: Attraverso un’oculata gestione dei finanziamenti che incentivi le realtà più utili al perseguimento dell’obiettivo principe di questo settore che dev’essere quello di offrire la possibilità di risocializzazione dell’ex detenuto.
Se servizi quali dormitori, centri di accoglienza, mense, etc (di competenza comunale) vengono dati in gestione al privato-sociale o ad associazioni di volontariato, come è possibile per il Comune verificarne la qualità, la funzionalità e la adeguata formazione del personale?
MV: Ritengo che l’esperienza della Consulta carcere città, che nel passato ha dato buoni frutti, vada aggiornata e rafforzata.
EM: Nella gestione dei finanziamenti e nella scelta dei soggetti cui avvalersi il Comune deve effettuare precisi e sistematici controlli, non soltanto formali, ma soprattutto di raggiungimento degli obiettivi. Il controllo sulla qualità del servizio reso è il necessario completamento di un principio generale che fa ricorso al privato e al volontariato.
La gestione del piazzale antistante il carcere è comunale: due ore prima di ogni partita di calcio gli agenti di polizia penitenziaria e il personale debbono uscire a spostare le loro auto. A volte vi sono auto abbandonate, e la rimozione non sempre avviene rapidamente. Sarebbe un simbolo del rispetto verso il loro lavoro ipotizzare una differente organizzazione: secondo Lei cosa è possibile fare?
MV: Sono convinta che il lavoro della Polizia Penitenziaria sia un lavoro difficile e particolare. Nel caso dei posteggi sul piazzale antistante il carcere in occasione delle partite mi adopererò perché, compatibilmente con le esigenze di sicurezza ed ordine pubblico, sia possibile trovare una soluzione soddisfacente.
EM: La gestione di quel piazzale è sì comunale, ma rimane molto spesso vincolata da esigenze di ordine pubblico. Questo, però, non significa che si possa continuare ad ignorare la posizione di quanti si trovino a sostare su detto piazzale per ragioni di servizio ed in special modo con quanti operino all’interno della Casa Circondariale.
Sarà dunque un mio impegno come Sindaco verificare la possibilità di soluzioni che, pur garantendo gli standard di ordine pubblico impostici, eliminino la discriminazione a danno di quanti operino all’interno della struttura carceraria.
Penso in particolare ad una modifica della disciplina della zsl che includa tra gli aventi diritto gli operatori della casa circondariale, magari anche individuando un’area appositamente riservata.
Al di là di leggi e regolamenti, cosa possiamo fare noi per voi, e cosa potete fare voi per noi?
MV: La cosa che tutti, noi e voi, possiamo fare è tenerci in contatto costante. Il carcere non deve essere un mondo a parte, è una parte della città e chi vi è detenuto è una persona, un cittadino, privato temporaneamente della libertà, ma con diritti e doveri come gli altri. Un rapporto tra il dentro e il fuori è fondamentale. Infatti spesso chi ha sbagliato è partito da pesanti condizioni di svantaggio, materiale e immateriale. Ritengo che progetti e interventi mirati a dare risposta ai grandi temi del lavoro e della inclusione sociale possano dare un contributo essenziale per evitare o diminuire fenomeni di disagio e di devianza.
EM: Credo che sia fondamentale mantenere un rapporto sistematico per far conoscere di volta in volta le esigenze che diventano più pressanti e i contributi che l’amministrazione potrebbe offrire alla soluzione dei problemi.
Invitiamo il futuro Sindaco di Genova a venirci a trovare, una volta insediato: sarebbe d’accordo con noi quando auspichiamo che incontri come questo possano assumere carattere periodico?
MV: Una delle prime cose che farò se diventerò Sindaco di Genova sarà venirvi ad incontrare e spero che sia l’inizio di un rapporto e di una collaborazione continuativa.
EM: Assolutamente d’accordo. Come Sindaco avrò particolarmente a cuore il tema della sicurezza dei cittadini e il confronto con quanti operino a vario titolo per il perseguimento di questo obiettivo sarà certamente prezioso.
Le interesserebbe far parte del Comitato dei Garanti del nostro giornale?
MV: Vi ringrazio della proposta. Questo giornale, un ponte tra il carcere e la realtà cittadina, è uno strumento prezioso di conoscenza reciproca, che come ho detto, ritengo indispensabile per molte ragioni. Vi do fin da ora la mia disponibilità a far parte del Comitato dei Garanti.
EM: Sono sicuramente interessato, anche per “istituzionalizzare” il rapporto ed avere così più e migliori occasioni di scambio di idee e di informazioni.
Marta Vincenzi ed Enrico Musso hanno dato la loro disponibilità a confrontarsi con la redazione: l’istituzione di un garante dei detenuti e maggiori occasioni di confronto sono alcune proposte avanzate.
E’ mai entrata/o in un carcere? Conosce le condizioni di vita all’interno?
Marta Vincenzi: Pur essendo entrata alcune volte nel carcere di Pontedecimo durante le mie precedenti esperienze amministrative in qualità di Presidente della Provincia non posso dire di conoscere a fondo la situazione delle carceri. Tuttavia una cosa me la ricordo bene: il tonfo dei cancelli che si chiudevano alle mie spalle dopo la mia prima visita al carcere. Quel rumore mi ha restituito l’idea di che cosa significhi perdere la libertà, non me lo dimenticherò mai, ce l’ho ancora in testa. Fermo restando che chi ha commesso un reato deve espiare la pena, penso che questo debba avvenire nel rispetto della sua dignità di persona. Credo che la privazione della libertà unita a situazioni di convivenza obbligata, spesso di sovraffollamento e talvolta (come nel caso degli stranieri) alla difficoltà o impossibilità di comunicazione sia una condizione penosissima, se non addirittura drammatica.
Enrico Musso: Sono entrato solo nel carcere di Genova (Marassi), e solo per traduzioni di detenuti quando facevo il servizio militare come Carabiniere Ausiliario, e successivamente come docente universitario, per fare sostenere esami a detenuti. Non conosco quindi le condizioni di vita all’interno.
Nell’ambito delle competenze assegnate al Comune per quanto riguarda il carcere, quali pensa potrebbero essere primi interventi utili?
MV: Sono convinta che il Sindaco debba farsi carico dei detenuti ospitati nelle carceri cittadine come di tutti gli altri cittadini. Sarò il Sindaco di tutti quindi, e ritengo sia importante che prosegua il lavoro sul tema della formazione e del reinserimento sociale ed occupazionale avviato in questi anni dal Comune in collaborazione con la Provincia di Genova. Proprio recentemente è stato firmato un protocollo tra Comune, Provincia e Amministrazione Penitenziaria che sigla questa significativa collaborazione. L’impegno in questo campo è a partire da chi è dietro le sbarre e poi dopo, quando queste persone saranno nuovamente libere. Non debbono essere abbandonati a se stessi. E’ un tema che riguarda tutti e il reinserimento sociale dei detenuti è questione prioritaria.
EM: In considerazione del fatto che le risorse economiche pubbliche non potranno mai garantire in toto la soddisfazione di ogni esigenza, anche per le problematiche connesse al “pianeta carcere”, mi pare anzitutto necessario che il Comune gestisca nel modo più efficiente possibile le risorse disponibili. Criterio principe dovrà essere quello della sussidiarietà orizzontale: da un lato il Comune dovrà limitare il proprio campo di intervento diretto a quei settori in cui non vi sia una sufficiente presenza del privato, dall’altro dovrà porsi come coordinatore degli interventi dei privati cui potranno delegarsi gli aspetti più pragmaticamente gestionali.
In termini più concreti la Civica Amministrazione può e deve porsi come oculato centro di coordinamento, promozione e pubblicizzazione degli interventi del volontariato per evitare inutili duplicazioni o peggio il mancato sfruttamento di alcune importanti risorse o lo spreco di preziose risorse.
L’“emergenza sicurezza” coinvolge anche chi esce dal carcere: ci si sente insicuri, magari non si ha una casa o una famiglia , i dormitori chiudono, i posti–mensa sono ridotti, l’assistenza socio-sanitaria difficile da raggiungere: Quali iniziative propone per garantire e/o potenziare strutture esterne in situazioni ordinarie o eccezionali come in occasione del recente indulto?
MV: Il tema del disagio, delle nuove povertà è una delle questioni su cui ritengo occorrerà avere la massima attenzione. Perché sempre più persone e sempre più famiglie sono pericolosamente vicine alla soglia di povertà anche a Genova. Occorrerà rafforzare tutte le strutture che sono impegnate nel difficile ambito del sostegno a chi è in difficoltà. Meno assistenzialismo e più welfare comunity, come dico spesso. Infine l’indulto, una situazione eccezionale che ha visto l’uscita dal carcere di molte persone, non ha colto impreparati gli Enti Locali del nostro territorio. Grazie alla preziosa collaborazione con le associazioni del volontariato Genova ha dato una risposta concreta. Certo si poteva fare di più e meglio ma so che non c’è stata una vera e propria emergenza come si è verificato in altre città.
EM: La recente vicenda dell’indulto, a parte ogni considerazione sulla situazione di emergenza provocata dalla scarsa avvedutezza del legislatore che ha posto i Comuni e i soggetti che operano nell’assistenza di fronte al fatto compiuto senza la previsione di interventi e risorse straordinarie, ha posto all’attenzione di tutti come il tema della sicurezza non possa prescindere dall’affrontare l’ancor più delicato tema del reinserimento dell’ex detenuto nella società.
Se, come detto, dal punto di vista dell’ordinaria amministrazione il Comune agirà secondo il principio di sussidiarietà, indirizzando i finanziamenti pubblici più verso interventi concreti che a favore di studi teorici, in un’ottica di lungo periodo lo stesso Comune dovrà porsi come soggetto promotore di un più generale ripensamento della politica di reintegrazione dell’ex detenuto nel tessuto sociale.
Ciò sarà possibile sia con il potenziamento delle occasioni di lavoro nell’ambito del carcere, sia, soprattutto, con l’incentivo della domanda di lavoro da parte delle imprese. Penso in particolare ad una più oculata gestione delle risorse previste dalla legge 266/97 per combattere il degrado di alcuni centri urbani tra cui Genova che, ove venga valorizzato con l’assegnazione di un punteggio superiore alle domande che prevedano l’assunzione di categorie svantaggiate come gli ex detenuti, potrebbero rivelarsi un punto di svolta nelle politiche di riabilitazione del condannato e, in ultima analisi, di maggior sicurezza per tutti i cittadini.
L’art. 21 (permessi di lavoro all’esterno) prevede anche un’utilizzazione dei detenuti da parte del Comune nel campo dei lavori socialmente utili. Pensa di avviare contatti con la Direzione della Casa circondariale per rendere più sistematica l’applicazione di questa possibilità?
MV: Credo senz’altro che rafforzeremo i rapporti e la collaborazione con le Direzioni delle Case Circondariali di Marassi e Pontedecimo per rendere continuativa l’esperienza dei lavori socialmente utili. Ritengo si tratti di una occasione importante per i detenuti ma anche per il nostro territorio e i cittadini genovesi. Nell’interesse di tutti.
EM: Le esigenze di riabilitazione del mondo carcerario e quelle manutentive del Comune sono perfettamente coniugabili con la sistematica utilizzazione delle possibilità concesse dall’art. 21 e in tale ottica logicamente mi rapporterò agli organi preposti per incentivarne l’applicazione.
Pare ovvio che il carcere oltre a momento di doverosa espiazione di una pena possa e debba diventare luogo in cui cominciare la riabilitazione del condannato soprattutto per quanto attiene all’aspetto lavorativo.D’altro lato penso sia sotto gli occhi di tutti come, anche eliminando gli sprechi e le inefficienze oggi presenti nella macchina comunale, le risorse sempre più scarse rischino di compromettere la fruizione di un patrimonio della collettività come gli spazi verdi, i litorali, le zone a monte..
In carcere c’è una scuola, frequentata da italiani e stranieri. Per questi ultimi alcuni diritti valgono solo fino a che sono carcerati: fermi restando i vincoli della legislazione nazionale, pensa sia possibile fare qualcosa per evitare che i numerosi stranieri, in maggioranza giovani, che dentro il carcere godono di diritti relativi allo studio e all’assistenza sanitaria, non vengano abbandonati a se stessi una volta usciti?
MV: Ovviamente i limiti dell’attuale legislazione in materia di immigrazione pongono vincoli insormontabili. Ritengo però che, tramite un accordo tra gli Enti Locali, si possa e si debba fare di più per garantire, ad esempio ai semiliberi, diritti fondamentali come l’istruzione, la formazione e l’assistenza sanitaria di base.
Penso poi che in questo ambito potrebbe avere molta importanza l’introduzione della figura del Garante dei diritti dei detenuti, esperienza già collaudata in alcune realtà del nostro Paese.
EM: Il problema non è certo di immediata soluzione, ma come Sindaco penso di impegnarmi nei confronti delle istituzioni competenti affinché gli intenti di integrazione da parte degli ex detenuti non vengano frustrati da quella che, in questi casi, somiglia più ad un abbandono che ad una liberazione.
Come pensa di promuovere e garantire forme di volontariato capaci di intervenire nell’ambito carcerario fornendo un servizio continuativo, di qualità, adeguato ai molteplici bisogni che qui si manifestano?
MV: So che sono molte le organizzazioni di volontariato impegnate in ambito penale. Una realtà preziosa della nostra città che integra il lavoro professionale della cooperazione sociale e delle organizzazioni no profit. A tutte queste andrà dato maggiore sostegno e ritengo che il Comune potrà essere il punto di sintesi e di coordinamento di questo importante lavoro.
EM: Attraverso un’oculata gestione dei finanziamenti che incentivi le realtà più utili al perseguimento dell’obiettivo principe di questo settore che dev’essere quello di offrire la possibilità di risocializzazione dell’ex detenuto.
Se servizi quali dormitori, centri di accoglienza, mense, etc (di competenza comunale) vengono dati in gestione al privato-sociale o ad associazioni di volontariato, come è possibile per il Comune verificarne la qualità, la funzionalità e la adeguata formazione del personale?
MV: Ritengo che l’esperienza della Consulta carcere città, che nel passato ha dato buoni frutti, vada aggiornata e rafforzata.
EM: Nella gestione dei finanziamenti e nella scelta dei soggetti cui avvalersi il Comune deve effettuare precisi e sistematici controlli, non soltanto formali, ma soprattutto di raggiungimento degli obiettivi. Il controllo sulla qualità del servizio reso è il necessario completamento di un principio generale che fa ricorso al privato e al volontariato.
La gestione del piazzale antistante il carcere è comunale: due ore prima di ogni partita di calcio gli agenti di polizia penitenziaria e il personale debbono uscire a spostare le loro auto. A volte vi sono auto abbandonate, e la rimozione non sempre avviene rapidamente. Sarebbe un simbolo del rispetto verso il loro lavoro ipotizzare una differente organizzazione: secondo Lei cosa è possibile fare?
MV: Sono convinta che il lavoro della Polizia Penitenziaria sia un lavoro difficile e particolare. Nel caso dei posteggi sul piazzale antistante il carcere in occasione delle partite mi adopererò perché, compatibilmente con le esigenze di sicurezza ed ordine pubblico, sia possibile trovare una soluzione soddisfacente.
EM: La gestione di quel piazzale è sì comunale, ma rimane molto spesso vincolata da esigenze di ordine pubblico. Questo, però, non significa che si possa continuare ad ignorare la posizione di quanti si trovino a sostare su detto piazzale per ragioni di servizio ed in special modo con quanti operino all’interno della Casa Circondariale.
Sarà dunque un mio impegno come Sindaco verificare la possibilità di soluzioni che, pur garantendo gli standard di ordine pubblico impostici, eliminino la discriminazione a danno di quanti operino all’interno della struttura carceraria.
Penso in particolare ad una modifica della disciplina della zsl che includa tra gli aventi diritto gli operatori della casa circondariale, magari anche individuando un’area appositamente riservata.
Al di là di leggi e regolamenti, cosa possiamo fare noi per voi, e cosa potete fare voi per noi?
MV: La cosa che tutti, noi e voi, possiamo fare è tenerci in contatto costante. Il carcere non deve essere un mondo a parte, è una parte della città e chi vi è detenuto è una persona, un cittadino, privato temporaneamente della libertà, ma con diritti e doveri come gli altri. Un rapporto tra il dentro e il fuori è fondamentale. Infatti spesso chi ha sbagliato è partito da pesanti condizioni di svantaggio, materiale e immateriale. Ritengo che progetti e interventi mirati a dare risposta ai grandi temi del lavoro e della inclusione sociale possano dare un contributo essenziale per evitare o diminuire fenomeni di disagio e di devianza.
EM: Credo che sia fondamentale mantenere un rapporto sistematico per far conoscere di volta in volta le esigenze che diventano più pressanti e i contributi che l’amministrazione potrebbe offrire alla soluzione dei problemi.
Invitiamo il futuro Sindaco di Genova a venirci a trovare, una volta insediato: sarebbe d’accordo con noi quando auspichiamo che incontri come questo possano assumere carattere periodico?
MV: Una delle prime cose che farò se diventerò Sindaco di Genova sarà venirvi ad incontrare e spero che sia l’inizio di un rapporto e di una collaborazione continuativa.
EM: Assolutamente d’accordo. Come Sindaco avrò particolarmente a cuore il tema della sicurezza dei cittadini e il confronto con quanti operino a vario titolo per il perseguimento di questo obiettivo sarà certamente prezioso.
Le interesserebbe far parte del Comitato dei Garanti del nostro giornale?
MV: Vi ringrazio della proposta. Questo giornale, un ponte tra il carcere e la realtà cittadina, è uno strumento prezioso di conoscenza reciproca, che come ho detto, ritengo indispensabile per molte ragioni. Vi do fin da ora la mia disponibilità a far parte del Comitato dei Garanti.
EM: Sono sicuramente interessato, anche per “istituzionalizzare” il rapporto ed avere così più e migliori occasioni di scambio di idee e di informazioni.
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Maggio 2007
martedì 26 giugno 2007
Carcere in attività
Scopini e magazzinieri, cuochi e spesini: vi sono, all’interno del carcere, alcune mansioni affidate ai detenuti stessi. Sono lavori che garantiscono uno stipendio a chi ha necessità di acquistare generi di sopravvitto, vivere il proprio tempo in maniera attiva, confrontarsi con i compiti che ciascun mestiere comporta. Vi presentiamo uno spaccato della vita di alcuni lavoranti a Marassi.
FLAVIO, SCOPINO AVVOCATI
Sono lo scopino dell’ufficio avvocati: una piccola isola con parvenza di felicità. Lavoro da sei mesi dalle 9,30 alle 12 e dalle 13 alle 15. Un Assistente accoglie gli avvocati, controlla se l’avvocato è quello giusto, cerca il detenuto telefonando all’Agente al piano. Se la linea telefonica è impegnata, mi consegna un foglietto, “il testimone”, con nome, cognome, sezione, nome dell’avvocato ed io volo a rintracciare il detenuto.
A volte è difficile perchè non lo si trova, è a scuola, è al campo di calcio e pertanto il mio è un lavoro che funziona zoppicando. Il tam tam del carcere avverte subito quale avvocato è arrivato e allora qualcuno, anche se non è segnato sulla lista, mi chiede di domandare all’avvocato se lo può chiamare. Io cerco di fare bene il mio lavoro, lo faccio per i miei compagni e così mi sento a posto come uomo. Ho anche un ottimo rapporto con l’Assistente.
DAVIDE, BIBLIOTECARIO
In realtà non sono proprio il bibliotecario. La Direzione mi ha dato questo lavoro il 1° Febbraio 2007 e non c’era bibliotecario da giugno 2005.Non so perchè l’ho avuto, forse in base alla graduatoria. Sono pagato come scopino della biblioteca, ma lo farei anche gratis, perché ritengo fondamentale la lettura in carcere. Il mio orario è tra le 8,30 e le 12. Una volta alla settimana vengono a dare il loro aiuto volontario due signore, due ex insegnanti.
È impossibile conoscere il numero esatto dei volumi presenti: l’elenco vecchio è stato aggiornato secondo i metodi delle pubbliche biblioteche della Regione Liguria, ma non può essere stampato, perchè, pur avendo un computer, non c’è la stampante, rotta da tempo e spero che qualcuno ce ne possa regalare una.
MARIANO, MAGAZZINIERE UFFICIO SPESA
Faccio il magazziniere all’ufficio spesa. Lavoro dal lunedì al sabato, da circa un anno e otto mesi. Sono soddisfatto, ho un lavoro fisso, sono più libero: noi lavoranti, infatti, alloggiamo al quarto piano e siamo aperti dalle 8.30 alle 19.
Io e un altro andiamo in magazzino con l’elenco del sopravvitto e prendiamo la roba, la mettiamo nella cesta e la portiamo ai piani, poi vengono gli spesini a prenderla. La spese ordinaria è consegnata 2 volte la settimana, la spesa straordinaria, per i nuovi giunti, si fa 2/3 volte la settimana. Lavorando al mattino sono riuscito ad andare a scuola. All’ufficio spesa siamo in 12. Nelle sezioni di alta sicurezza, di custodia attenuata e quella dei protetti non possiamo entrare.
Non ci sono problemi, ma a volte ci sono errori nella battitura e si consegnano 5 cartine invece di 5 cartoline, panna invece che pane bianco.
MICHELE, OPERAIO EDILE ART. 21 COOPERATIVA FIERA DEL MARE
Sono operaio edile alla cooperativa della Fiera del mare. Lavoro al padiglione 5, scarico dai camion con il muletto i blocchi di cemento che vengono messi in mare per ampliare il molo. L’orario è dalle 8 alle 17. Esco dal carcere alle 7.45 e rientro alle 18. Non ho scelto io il lavoro, mi hanno chiamato, ero contento, non uscivo da più di 2 anni. Al mattino prendo l’autobus 48 e vado in Fiera, pranzo in un bar, posso avere fino a 30 euro, pago autobus e cibo. Quando torno devo ridare il resto e finché non spendo tutti i 30 euro non me ne danno altri, devo portare gli scontrini. Non è un lavoro duro, devo mettere tavolette di legno sotto i blocchi di cemento. Siamo in 2, più il principale che è gentile. Ho lavorato qualche giorno e ora che sono fermo, non so cosa fare. Possono farmi i controlli delle urine per appurare se ho assunto sostanze stupefacenti o se ho abusato di alcool, quando rientro la sera. Il lavoro durerà fino a settembre.
MICHELANGELO, MOF IDRAULICO
Da quanto tempo lavori?
Da 20 giorni.
Hai fatto altri lavori?
3 mesi come scopino in prima sezione.
Cos’è l’idraulico?
Manutenzione in genere, sanitari, lavelli ecc.. Manca l’attrezzatura e per i lavori grossi noi smantelliamo e prepariamo il lavoro per la ditta esterna.
Avevi già lavorato come idraulico?
22 anni come installatore termoidraulico (riscaldamento). Ero alto in graduatoria, sono passato dalla 1° alla 2° sezione grazie al magistrato di sorveglianza e al direttore perché sono diventato appellante. In 2° sezione ogni 6 mesi distribuiscono dei moduli da compilare e ognuno può indicare la sua specializzazione .
Lavori sempre?
Si, sono sempre reperibile anche di notte e di domenica.
Orario?
9.00-15.30, con 2 giorni di ferie al mese. Se una cella ha bisogno, chiama l’agente della MOF e in giornata il problema viene risolto. Sono soddisfatto perché è il mio lavoro, lo stipendio non è alto ma… si vive. Comunque ho potuto frequentare anche la scuola e partecipare allo spettacolo teatrale.
Quali sono i guasti più frequenti?
Sciacquone e scarichi.
FATELLAH, AIUTO CUOCO
Lavoro da 5 mesi. Dopo un periodo di prova grazie all’esperienza del passato sono diventato aiuto cuoco. Alle 7 scaldiamo il latte e il caffè. Siamo in 3: il cuoco e due aiuto cuoco. Gli inservienti vanno al magazzino con l’agente per prendere la spesa del giorno e portarla in cucina con il foglio della conta. Il menù è ogni giorno diverso ed è fissato dal Ministero di Giustizia mediante una tabella stagionale.
Ogni lavorante è specializzato in qualche cosa (tagliare l’insalata, pelare le patate ecc.). I coltelli sono sempre in un armadietto chiuso e quando si usano la cucina dev’essere chiusa. Tutti noi siamo responsabili dei coltelli e ogni 10 minuti controlliamo che non ne manchi nessuno. Quando arriva la commissione mensa, i coltelli vengono chiusi nell’armadietto. La cucina è dotata di un’attrezzatura valida anche se insufficiente per preparare il cibo per 700 persone. Le quantità ministeriali vengono rispettate. Abbiamo stivali, camice e cuffia, guanti. Il mangiare che rimane viene buttato, tranne gli alimenti confezionati. Assaggio sempre quello che preparo.
I lavoranti della cucina, soprattutto il cuoco e l’aiuto, sono i più importanti di tutto il carcere: ci vogliono persone sveglie, capaci e precise, perché l’orario deve essere rispettato e le porzioni devono essere giuste. Alle 10 del mattino è tutto pronto, tranne la pasta che, dato l’alto numero dei detenuti, viene calata nel bollitore in 5 riprese.
Tutta la pasta cuoce in circa 25 minuti e viene condita in una sola volta.
WALTER , MOF (UN PO’ DI TUTTO)
Lavoro da 4/5 giorni. Mi occupo di manutenzione: muratura, idraulica, falegnameria. Le attrezzature a disposizione sono sufficienti, ma sono consapevole di lavorare un carcere e quindi a volte mi devo adattare. Non ho libertà di iniziativa: a volte vorrei svolgere il lavoro in modo diverso, anche perché ho una buona esperienza esterna, ma non posso e devo seguire le indicazioni degli agenti responsabili del reparto. Fra tutti i lavori in carcere, questo è quello che preferisco, perché almeno so quello che faccio. Alla MOF siamo in 5. Il lavoro l’ho avuto in base alla graduatoria (ero il primo) e forse anche in base alla mia esperienza nel settore.
FERDINANT, SPESINO
Lavoro da 9 mesi all’Ufficio spesa. Orario: dalle 8.30 alle 12.30. Il mio compito di scrivano è trascrivere in una specie di computer (terminale) l’elenco della spesa dei detenuti. I detenuti scrivono l’elenco dei generi che desiderano acquistare come sopravvitto, su un libretto in dotazione dove è indicato il numero di conto corrente e la cifra a disposizione. Mi occupo di circa 200 detenuti: prima dell’indulto erano molti di più. Il lavoro mi è stato assegnato in base alla graduatoria. Mi piace, anche se è un po’ faticoso mentalmente e si può sbagliare. Se non ho finito il lavoro alle 12,00 spesso lo continuo perché è permesso. Questo tipo di lavoro mi permette di frequentare la scuola e anche l’attività teatrale. È bello lavorare qui dentro, si è più aperti. Nell’Ufficio spesa lavorano 2 scrivani, 2 magazzinieri (questi sono fissi) e 7 portaspesa che ruotano ogni 3 mesi. Secondo me anche i portaspese dovrebbe essere fissi oppure lavorare per più mesi.
ROSARIO, PANE E FRUTTA
Per sei giorni alla settimana l’orario di lavoro è dalle 8.15 alle 11.15. Per due giorni alla settimana c’è anche un’ora al pomeriggio. Alle 8.15 scendo, vado in magazzino dove c’è il sopravvitto e il vitto della casanza.
Carichiamo sui carrelli il pane e la frutta per tutte le sezioni. Li portiamo in cucina, dividiamo pane e frutta per ogni sezione in base al numero di detenuti fornito dall’appuntato. Verso le 11.30 si riportano i carrelli in cucina e si buttano le cassette vuote della frutta negli spazi predisposti. Se manca qualche lavorante in cucina noi facciamo il “jolly” fino alle 12,30 circa e qualche volta anche di pomeriggio. Due giorni alla settimana, di pomeriggio, per un’ora circa, dobbiamo pulire i corridoi dalla cucina alla rotonda.
TOMMASO LAVANDERIA
Lavoro da cinque mesi in lavanderia dalle nove alle quattordici, dal lunedì al sabato, con una pausa da mezzogiorno all’una. Ogni giorno ritiro con un carrello circa ottanta lenzuola e federe per il lavaggio, dividendo il lavoro per sezione e piano. Al CDT il cambio è una volta alla settimana, nelle altre sezioni ogni otto-dieci giorni, ma prima dell’indulto era di più. La caldaia ora funziona, a volte si rompe. Se le lenzuola sono rovinate le buttiamo. Abbiamo un rullo per stirarle, ma lo usiamo per asciugare quando si rompe la caldaia.
FLAVIO, SCOPINO AVVOCATI
Sono lo scopino dell’ufficio avvocati: una piccola isola con parvenza di felicità. Lavoro da sei mesi dalle 9,30 alle 12 e dalle 13 alle 15. Un Assistente accoglie gli avvocati, controlla se l’avvocato è quello giusto, cerca il detenuto telefonando all’Agente al piano. Se la linea telefonica è impegnata, mi consegna un foglietto, “il testimone”, con nome, cognome, sezione, nome dell’avvocato ed io volo a rintracciare il detenuto.
A volte è difficile perchè non lo si trova, è a scuola, è al campo di calcio e pertanto il mio è un lavoro che funziona zoppicando. Il tam tam del carcere avverte subito quale avvocato è arrivato e allora qualcuno, anche se non è segnato sulla lista, mi chiede di domandare all’avvocato se lo può chiamare. Io cerco di fare bene il mio lavoro, lo faccio per i miei compagni e così mi sento a posto come uomo. Ho anche un ottimo rapporto con l’Assistente.
DAVIDE, BIBLIOTECARIO
In realtà non sono proprio il bibliotecario. La Direzione mi ha dato questo lavoro il 1° Febbraio 2007 e non c’era bibliotecario da giugno 2005.Non so perchè l’ho avuto, forse in base alla graduatoria. Sono pagato come scopino della biblioteca, ma lo farei anche gratis, perché ritengo fondamentale la lettura in carcere. Il mio orario è tra le 8,30 e le 12. Una volta alla settimana vengono a dare il loro aiuto volontario due signore, due ex insegnanti.
È impossibile conoscere il numero esatto dei volumi presenti: l’elenco vecchio è stato aggiornato secondo i metodi delle pubbliche biblioteche della Regione Liguria, ma non può essere stampato, perchè, pur avendo un computer, non c’è la stampante, rotta da tempo e spero che qualcuno ce ne possa regalare una.
MARIANO, MAGAZZINIERE UFFICIO SPESA
Faccio il magazziniere all’ufficio spesa. Lavoro dal lunedì al sabato, da circa un anno e otto mesi. Sono soddisfatto, ho un lavoro fisso, sono più libero: noi lavoranti, infatti, alloggiamo al quarto piano e siamo aperti dalle 8.30 alle 19.
Io e un altro andiamo in magazzino con l’elenco del sopravvitto e prendiamo la roba, la mettiamo nella cesta e la portiamo ai piani, poi vengono gli spesini a prenderla. La spese ordinaria è consegnata 2 volte la settimana, la spesa straordinaria, per i nuovi giunti, si fa 2/3 volte la settimana. Lavorando al mattino sono riuscito ad andare a scuola. All’ufficio spesa siamo in 12. Nelle sezioni di alta sicurezza, di custodia attenuata e quella dei protetti non possiamo entrare.
Non ci sono problemi, ma a volte ci sono errori nella battitura e si consegnano 5 cartine invece di 5 cartoline, panna invece che pane bianco.
MICHELE, OPERAIO EDILE ART. 21 COOPERATIVA FIERA DEL MARE
Sono operaio edile alla cooperativa della Fiera del mare. Lavoro al padiglione 5, scarico dai camion con il muletto i blocchi di cemento che vengono messi in mare per ampliare il molo. L’orario è dalle 8 alle 17. Esco dal carcere alle 7.45 e rientro alle 18. Non ho scelto io il lavoro, mi hanno chiamato, ero contento, non uscivo da più di 2 anni. Al mattino prendo l’autobus 48 e vado in Fiera, pranzo in un bar, posso avere fino a 30 euro, pago autobus e cibo. Quando torno devo ridare il resto e finché non spendo tutti i 30 euro non me ne danno altri, devo portare gli scontrini. Non è un lavoro duro, devo mettere tavolette di legno sotto i blocchi di cemento. Siamo in 2, più il principale che è gentile. Ho lavorato qualche giorno e ora che sono fermo, non so cosa fare. Possono farmi i controlli delle urine per appurare se ho assunto sostanze stupefacenti o se ho abusato di alcool, quando rientro la sera. Il lavoro durerà fino a settembre.
MICHELANGELO, MOF IDRAULICO
Da quanto tempo lavori?
Da 20 giorni.
Hai fatto altri lavori?
3 mesi come scopino in prima sezione.
Cos’è l’idraulico?
Manutenzione in genere, sanitari, lavelli ecc.. Manca l’attrezzatura e per i lavori grossi noi smantelliamo e prepariamo il lavoro per la ditta esterna.
Avevi già lavorato come idraulico?
22 anni come installatore termoidraulico (riscaldamento). Ero alto in graduatoria, sono passato dalla 1° alla 2° sezione grazie al magistrato di sorveglianza e al direttore perché sono diventato appellante. In 2° sezione ogni 6 mesi distribuiscono dei moduli da compilare e ognuno può indicare la sua specializzazione .
Lavori sempre?
Si, sono sempre reperibile anche di notte e di domenica.
Orario?
9.00-15.30, con 2 giorni di ferie al mese. Se una cella ha bisogno, chiama l’agente della MOF e in giornata il problema viene risolto. Sono soddisfatto perché è il mio lavoro, lo stipendio non è alto ma… si vive. Comunque ho potuto frequentare anche la scuola e partecipare allo spettacolo teatrale.
Quali sono i guasti più frequenti?
Sciacquone e scarichi.
FATELLAH, AIUTO CUOCO
Lavoro da 5 mesi. Dopo un periodo di prova grazie all’esperienza del passato sono diventato aiuto cuoco. Alle 7 scaldiamo il latte e il caffè. Siamo in 3: il cuoco e due aiuto cuoco. Gli inservienti vanno al magazzino con l’agente per prendere la spesa del giorno e portarla in cucina con il foglio della conta. Il menù è ogni giorno diverso ed è fissato dal Ministero di Giustizia mediante una tabella stagionale.
Ogni lavorante è specializzato in qualche cosa (tagliare l’insalata, pelare le patate ecc.). I coltelli sono sempre in un armadietto chiuso e quando si usano la cucina dev’essere chiusa. Tutti noi siamo responsabili dei coltelli e ogni 10 minuti controlliamo che non ne manchi nessuno. Quando arriva la commissione mensa, i coltelli vengono chiusi nell’armadietto. La cucina è dotata di un’attrezzatura valida anche se insufficiente per preparare il cibo per 700 persone. Le quantità ministeriali vengono rispettate. Abbiamo stivali, camice e cuffia, guanti. Il mangiare che rimane viene buttato, tranne gli alimenti confezionati. Assaggio sempre quello che preparo.
I lavoranti della cucina, soprattutto il cuoco e l’aiuto, sono i più importanti di tutto il carcere: ci vogliono persone sveglie, capaci e precise, perché l’orario deve essere rispettato e le porzioni devono essere giuste. Alle 10 del mattino è tutto pronto, tranne la pasta che, dato l’alto numero dei detenuti, viene calata nel bollitore in 5 riprese.
Tutta la pasta cuoce in circa 25 minuti e viene condita in una sola volta.
WALTER , MOF (UN PO’ DI TUTTO)
Lavoro da 4/5 giorni. Mi occupo di manutenzione: muratura, idraulica, falegnameria. Le attrezzature a disposizione sono sufficienti, ma sono consapevole di lavorare un carcere e quindi a volte mi devo adattare. Non ho libertà di iniziativa: a volte vorrei svolgere il lavoro in modo diverso, anche perché ho una buona esperienza esterna, ma non posso e devo seguire le indicazioni degli agenti responsabili del reparto. Fra tutti i lavori in carcere, questo è quello che preferisco, perché almeno so quello che faccio. Alla MOF siamo in 5. Il lavoro l’ho avuto in base alla graduatoria (ero il primo) e forse anche in base alla mia esperienza nel settore.
FERDINANT, SPESINO
Lavoro da 9 mesi all’Ufficio spesa. Orario: dalle 8.30 alle 12.30. Il mio compito di scrivano è trascrivere in una specie di computer (terminale) l’elenco della spesa dei detenuti. I detenuti scrivono l’elenco dei generi che desiderano acquistare come sopravvitto, su un libretto in dotazione dove è indicato il numero di conto corrente e la cifra a disposizione. Mi occupo di circa 200 detenuti: prima dell’indulto erano molti di più. Il lavoro mi è stato assegnato in base alla graduatoria. Mi piace, anche se è un po’ faticoso mentalmente e si può sbagliare. Se non ho finito il lavoro alle 12,00 spesso lo continuo perché è permesso. Questo tipo di lavoro mi permette di frequentare la scuola e anche l’attività teatrale. È bello lavorare qui dentro, si è più aperti. Nell’Ufficio spesa lavorano 2 scrivani, 2 magazzinieri (questi sono fissi) e 7 portaspesa che ruotano ogni 3 mesi. Secondo me anche i portaspese dovrebbe essere fissi oppure lavorare per più mesi.
ROSARIO, PANE E FRUTTA
Per sei giorni alla settimana l’orario di lavoro è dalle 8.15 alle 11.15. Per due giorni alla settimana c’è anche un’ora al pomeriggio. Alle 8.15 scendo, vado in magazzino dove c’è il sopravvitto e il vitto della casanza.
Carichiamo sui carrelli il pane e la frutta per tutte le sezioni. Li portiamo in cucina, dividiamo pane e frutta per ogni sezione in base al numero di detenuti fornito dall’appuntato. Verso le 11.30 si riportano i carrelli in cucina e si buttano le cassette vuote della frutta negli spazi predisposti. Se manca qualche lavorante in cucina noi facciamo il “jolly” fino alle 12,30 circa e qualche volta anche di pomeriggio. Due giorni alla settimana, di pomeriggio, per un’ora circa, dobbiamo pulire i corridoi dalla cucina alla rotonda.
TOMMASO LAVANDERIA
Lavoro da cinque mesi in lavanderia dalle nove alle quattordici, dal lunedì al sabato, con una pausa da mezzogiorno all’una. Ogni giorno ritiro con un carrello circa ottanta lenzuola e federe per il lavaggio, dividendo il lavoro per sezione e piano. Al CDT il cambio è una volta alla settimana, nelle altre sezioni ogni otto-dieci giorni, ma prima dell’indulto era di più. La caldaia ora funziona, a volte si rompe. Se le lenzuola sono rovinate le buttiamo. Abbiamo un rullo per stirarle, ma lo usiamo per asciugare quando si rompe la caldaia.
La parola a un sindacalista della Polizia Penitenziaria
Roberto Martinelli, assistente capo di Polizia Penitenziaria da vent’anni, è il segretario generale aggiunto del SAPPE, primo sindacato di Polizia Penitenziaria, con 12.000 iscritti.
Ci confrontiamo con lui per capire quali siano i problemi che affrontano quotidianamente gli agenti di Polizia Penitenziaria nello svolgimento del loro lavoro e ascoltiamo alcune proposte avanzate dal suo Sindacato.
Il carcere, lo abbiamo già notato, è un pianeta chiuso. La popolazione civile non sa bene cosa vi accade, chi ci stia e come ci si lavori.
Questa legge vale anche per le 40.000 persone con il basco azzurro della Polizia Penitenziaria,
che ogni mattina vi entrano e vi passano gran parte della propria giornata a contatto con situazioni di forte disagio, in condizioni lavorative tutt’altro che facili: si lavora spesso su turni di otto ore, e fino a prima dell’indulto un agente poteva restare anche solo con cento, centotrenta detenuti, gestendo anche problemi relazionali e situazioni di crisi. Molto spesso poi, dopo otto ore passate in carcere, si va in caserma, poiché le necessità di organico richiedono trasferimenti a più di seicento, ottocento, mille chilometri dalle città di origine. In queste condizioni, ci sono pochi stimoli a andarsene in giro in città poco conosciute e a spendere soldi che dovrebbero servire alla propria famiglia.
Il disagio e la sofferenza, il rischio di burn-out – lo stress lavorativo di cui spesso si parla per gli operatori che lavorano nel disagio - sono evidenti e palpabili.
La formazione è comunque parziale, perché in aula è difficile presentare le difficoltà pratiche che si incontrano quotidianamente.
Eppure ci sono delle motivazioni che permettono di affrontare il proprio lavoro con competenza ed attenzione: Roberto Martinelli ci racconta dove vengono le gratificazioni e l’entusiasmo: “Quando vieni assunto, fai un corso di formazione ‘esterno’, ma il grosso del lavoro avviene quando cominci a entrare nel carcere, e sei sostenuto dai tuoi colleghi, in particolare quelli con più anzianità di servizio”. Lo scollamento fra teoria e realtà è evidente, ed affrontabile solo grazie al forte spirito di corpo, che fa sì che i colleghi più anziani si occupino dei nuovi arrivati istruendoli e sostenendoli nelle diverse necessità. “Le gratificazioni ci sono”, prosegue Martinelli, “e si basano sulla consapevolezza di far parte di un Corpo molto importante per lo Stato, cui spetta uno dei compiti più difficili”.
Le difficoltà maggiori risiedono nella lontananza da casa di cui soffrono molti agenti, nella continua carenza d’organico (sì, anche dopo l’indulto!) che costringe a ridurre sempre più i momenti di formazione, quando previsti, ad allungare i turni e a lavorare da soli. E’ anche un lavoro pericoloso, chi lo compie sa di essere identificato come “rappresentante dello Stato” prima che come persona, e il rischio di venire colpito in quanto simbolo esiste sempre. Le minacce sono ancora abbastanza comuni.
Concentrando l’attenzione sulla situazione genovese, Marassi è priva di serie strutture ricreative per gli agenti e all’interno non vi sono biblioteche o spazi destinati.
Chiediamo a Martinelli come vede il carcere oggi, come è cambiato rispetto a trent’anni fa, e come vede il suo futuro. Un dibattito sul carcere che vogliamo non può prescindere dal confronto con chi ci lavora tutti i giorni, e Martinelli ci propone riflessioni attente e precise, avanzando ipotesi e proposte attuabili a livello locale e nazionale.
“Il carcere rispetto a trent’anni fa è cambiato profondamente, ci sono tre categorie di individui che prima degli anni novanta non esistevano: gli extracomunitari, i tossicodipendenti e sieropositivi-malati di HIV, insomma, i rappresentanti del nuovo disagio sociale, e quel che è peggio, è che negli ultimi anni le tre classi si vanno ritrovando sempre più nella stessa persona”.
Occorre ripensare al ruolo del carcere e alle modalità di attuazione della pena: Martinelli introduce una proposta moderna, e ne articola le condizioni: “Secondo noi del SAPPE, il carcere dovrebbe essere destinato solo ai veri delinquenti: chi si è macchiato di reati di mafia, assassini, chi ha commesso fatti di reale gravità. Per tutti gli altri, non è altro che una scuola di criminalità, dove vengono a conoscere ancora meglio legami e regole della microcriminalità cittadina”. Egli stesso concorda con chi vede il carcere oggi come una vera discarica sociale. Questo non vuol dire però che se il disagio sociale finisce per evolversi in un reato, questo non debba essere punito con fermezza: “Nella Legge Bossi-Fini vi è un articolo, poco attuato, che prevede il lavoro socialmente utile, non pagato, come pena per reati di lieve entità, magari anche solo quelli con pene sotto l’anno, in alternativa al carcere: la proposta del SAPPE è questa, ripensare la pena e la sua attuazione, e contemporaneamente ripensare il ruolo della Polizia Penitenziaria. Creare due differenti settori, uno destinato al mantenimento dell’ordine interno, ed un secondo, nuovo, per la gestione e l’organizzazione della pena per chi in carcere , considerata l’esiguità delle pena, sarebbe preferibile non entrasse.
Alcuni di questi compiti, come la verifica della presenza per chi ha l’obbligo di firma attualmente la effettuano i Carabinieri, è necessario studiare una collaborazione con le varie forze di Polizia, ma la Polizia Penitenziaria può gestire lo svolgimento della pena dal principio alla fine, collaborando anche con assistenti sociali e associazioni del terzo settore e del volontariato dove i condannati a pene lievi potrebbero lavorare per ripagare il danno alla società”.
Anche il ruolo della stesso Corpo di Polizia Penitenziaria affronterebbe la sfida di una nuova ridefinizione dei compiti e dei ruoli, e contribuirebbe a rendere meno nascosto il mondo carcerario, lavorando in mezzo alla gente, nella città.
Accanto al potenziamento dell’Area Penale Esterna, il SAPPE ha altre proposte per migliorare il lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria: innanzi tutto, la possibilità di effettuare concorsi su base regionale che garantirebbe una maggior vicinanza a casa, riducendo notevolmente i problemi dei trasfertisti. Poi bisogna aumentare il coinvolgimento della popolazione cittadina, che si renda conto che i problemi del carcere sono i problemi di tutta la cittadinanza (basta pensare all’ “emergenza sicurezza” evocata nei momenti di crisi), e una maggiore attenzione da parte degli enti locali.
Riguardo alla situazione particolare genovese, sarebbe auspicabile una collaborazione con il Comune, per una migliore qualità della vita degli agenti, per avere degli alloggi esterni, magari per quegli agenti che desiderano ricongiungersi alla propria famiglia, in zone residenziali adatte.
Dal Comune ci si aspetta anche il rispetto verso chi fa un lavoro non facile, anche se poco visibile, dentro le quattro mura del carcere, a partire dalle piccole cose; ci facciamo noi stessi promotori di una richiesta al futuro sindaco di Genova: la definizione di una gestione del piazzale antistante il Carcere di Marassi volta al rispetto di chi vi lavora, e vi trova carcasse di auto abbandonate da mesi che nessuno porta via, e lo studio di una soluzione per la tragicomica situazione che si ripresenta due ore prima di ogni partita di calcio, quando agenti e lavoratori dall’interno del Carcere devono uscire a cercare un nuovo parcheggio fuori dalla zona a traffico limitato, per lasciare il piazzale disponibile ai pullman delle tifoserie esterne. Sarebbe un gesto di attenzione e di riconoscimento dell’importanza del lavoro che si sta svolgendo all’interno del carcere, nell’interesse di tutta la città.
---
Gli agenti di polizia penitenziaria sono in Italia 42.642 (Dati Dipartimento Amm.ne Penitenziaria- Ministero della Giustizia). Sono uomini (39.337) e donne (3.305), divisi nelle sezioni detentive maschili e femminili.
Lavorano in carcere su turni di ventiquattro ore: sono le persone maggiormente a contatto con i detenuti. Per essere agente di polizia penitenziaria occorre un diploma di istruzione secondaria di primo grado, ma il numero dei laureati è in costante crescita.
Superata una selezione nazionale si frequenta un corso di formazione di 12 mesi. A contratto, sono previste dodici giornate di formazione ogni anno, sei sull’uso delle armi e sugli aggiornamenti tecnici, altre sei su compiti differenti e definiti in base alle necessità.
Le selezioni sono nazionali: gli agenti vengono mandati nelle diverse carceri a seconda delle esigenze. Per questo motivo, sono numerosi gli agenti che lavorano a distanza dalla proprie residenze, vivendo in caserme vicino al luogo di lavoro, e facendo per anni i pendolari su lunghe distanze.
Ci confrontiamo con lui per capire quali siano i problemi che affrontano quotidianamente gli agenti di Polizia Penitenziaria nello svolgimento del loro lavoro e ascoltiamo alcune proposte avanzate dal suo Sindacato.
Il carcere, lo abbiamo già notato, è un pianeta chiuso. La popolazione civile non sa bene cosa vi accade, chi ci stia e come ci si lavori.
Questa legge vale anche per le 40.000 persone con il basco azzurro della Polizia Penitenziaria,
che ogni mattina vi entrano e vi passano gran parte della propria giornata a contatto con situazioni di forte disagio, in condizioni lavorative tutt’altro che facili: si lavora spesso su turni di otto ore, e fino a prima dell’indulto un agente poteva restare anche solo con cento, centotrenta detenuti, gestendo anche problemi relazionali e situazioni di crisi. Molto spesso poi, dopo otto ore passate in carcere, si va in caserma, poiché le necessità di organico richiedono trasferimenti a più di seicento, ottocento, mille chilometri dalle città di origine. In queste condizioni, ci sono pochi stimoli a andarsene in giro in città poco conosciute e a spendere soldi che dovrebbero servire alla propria famiglia.
Il disagio e la sofferenza, il rischio di burn-out – lo stress lavorativo di cui spesso si parla per gli operatori che lavorano nel disagio - sono evidenti e palpabili.
La formazione è comunque parziale, perché in aula è difficile presentare le difficoltà pratiche che si incontrano quotidianamente.
Eppure ci sono delle motivazioni che permettono di affrontare il proprio lavoro con competenza ed attenzione: Roberto Martinelli ci racconta dove vengono le gratificazioni e l’entusiasmo: “Quando vieni assunto, fai un corso di formazione ‘esterno’, ma il grosso del lavoro avviene quando cominci a entrare nel carcere, e sei sostenuto dai tuoi colleghi, in particolare quelli con più anzianità di servizio”. Lo scollamento fra teoria e realtà è evidente, ed affrontabile solo grazie al forte spirito di corpo, che fa sì che i colleghi più anziani si occupino dei nuovi arrivati istruendoli e sostenendoli nelle diverse necessità. “Le gratificazioni ci sono”, prosegue Martinelli, “e si basano sulla consapevolezza di far parte di un Corpo molto importante per lo Stato, cui spetta uno dei compiti più difficili”.
Le difficoltà maggiori risiedono nella lontananza da casa di cui soffrono molti agenti, nella continua carenza d’organico (sì, anche dopo l’indulto!) che costringe a ridurre sempre più i momenti di formazione, quando previsti, ad allungare i turni e a lavorare da soli. E’ anche un lavoro pericoloso, chi lo compie sa di essere identificato come “rappresentante dello Stato” prima che come persona, e il rischio di venire colpito in quanto simbolo esiste sempre. Le minacce sono ancora abbastanza comuni.
Concentrando l’attenzione sulla situazione genovese, Marassi è priva di serie strutture ricreative per gli agenti e all’interno non vi sono biblioteche o spazi destinati.
Chiediamo a Martinelli come vede il carcere oggi, come è cambiato rispetto a trent’anni fa, e come vede il suo futuro. Un dibattito sul carcere che vogliamo non può prescindere dal confronto con chi ci lavora tutti i giorni, e Martinelli ci propone riflessioni attente e precise, avanzando ipotesi e proposte attuabili a livello locale e nazionale.
“Il carcere rispetto a trent’anni fa è cambiato profondamente, ci sono tre categorie di individui che prima degli anni novanta non esistevano: gli extracomunitari, i tossicodipendenti e sieropositivi-malati di HIV, insomma, i rappresentanti del nuovo disagio sociale, e quel che è peggio, è che negli ultimi anni le tre classi si vanno ritrovando sempre più nella stessa persona”.
Occorre ripensare al ruolo del carcere e alle modalità di attuazione della pena: Martinelli introduce una proposta moderna, e ne articola le condizioni: “Secondo noi del SAPPE, il carcere dovrebbe essere destinato solo ai veri delinquenti: chi si è macchiato di reati di mafia, assassini, chi ha commesso fatti di reale gravità. Per tutti gli altri, non è altro che una scuola di criminalità, dove vengono a conoscere ancora meglio legami e regole della microcriminalità cittadina”. Egli stesso concorda con chi vede il carcere oggi come una vera discarica sociale. Questo non vuol dire però che se il disagio sociale finisce per evolversi in un reato, questo non debba essere punito con fermezza: “Nella Legge Bossi-Fini vi è un articolo, poco attuato, che prevede il lavoro socialmente utile, non pagato, come pena per reati di lieve entità, magari anche solo quelli con pene sotto l’anno, in alternativa al carcere: la proposta del SAPPE è questa, ripensare la pena e la sua attuazione, e contemporaneamente ripensare il ruolo della Polizia Penitenziaria. Creare due differenti settori, uno destinato al mantenimento dell’ordine interno, ed un secondo, nuovo, per la gestione e l’organizzazione della pena per chi in carcere , considerata l’esiguità delle pena, sarebbe preferibile non entrasse.
Alcuni di questi compiti, come la verifica della presenza per chi ha l’obbligo di firma attualmente la effettuano i Carabinieri, è necessario studiare una collaborazione con le varie forze di Polizia, ma la Polizia Penitenziaria può gestire lo svolgimento della pena dal principio alla fine, collaborando anche con assistenti sociali e associazioni del terzo settore e del volontariato dove i condannati a pene lievi potrebbero lavorare per ripagare il danno alla società”.
Anche il ruolo della stesso Corpo di Polizia Penitenziaria affronterebbe la sfida di una nuova ridefinizione dei compiti e dei ruoli, e contribuirebbe a rendere meno nascosto il mondo carcerario, lavorando in mezzo alla gente, nella città.
Accanto al potenziamento dell’Area Penale Esterna, il SAPPE ha altre proposte per migliorare il lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria: innanzi tutto, la possibilità di effettuare concorsi su base regionale che garantirebbe una maggior vicinanza a casa, riducendo notevolmente i problemi dei trasfertisti. Poi bisogna aumentare il coinvolgimento della popolazione cittadina, che si renda conto che i problemi del carcere sono i problemi di tutta la cittadinanza (basta pensare all’ “emergenza sicurezza” evocata nei momenti di crisi), e una maggiore attenzione da parte degli enti locali.
Riguardo alla situazione particolare genovese, sarebbe auspicabile una collaborazione con il Comune, per una migliore qualità della vita degli agenti, per avere degli alloggi esterni, magari per quegli agenti che desiderano ricongiungersi alla propria famiglia, in zone residenziali adatte.
Dal Comune ci si aspetta anche il rispetto verso chi fa un lavoro non facile, anche se poco visibile, dentro le quattro mura del carcere, a partire dalle piccole cose; ci facciamo noi stessi promotori di una richiesta al futuro sindaco di Genova: la definizione di una gestione del piazzale antistante il Carcere di Marassi volta al rispetto di chi vi lavora, e vi trova carcasse di auto abbandonate da mesi che nessuno porta via, e lo studio di una soluzione per la tragicomica situazione che si ripresenta due ore prima di ogni partita di calcio, quando agenti e lavoratori dall’interno del Carcere devono uscire a cercare un nuovo parcheggio fuori dalla zona a traffico limitato, per lasciare il piazzale disponibile ai pullman delle tifoserie esterne. Sarebbe un gesto di attenzione e di riconoscimento dell’importanza del lavoro che si sta svolgendo all’interno del carcere, nell’interesse di tutta la città.
---
Gli agenti di polizia penitenziaria sono in Italia 42.642 (Dati Dipartimento Amm.ne Penitenziaria- Ministero della Giustizia). Sono uomini (39.337) e donne (3.305), divisi nelle sezioni detentive maschili e femminili.
Lavorano in carcere su turni di ventiquattro ore: sono le persone maggiormente a contatto con i detenuti. Per essere agente di polizia penitenziaria occorre un diploma di istruzione secondaria di primo grado, ma il numero dei laureati è in costante crescita.
Superata una selezione nazionale si frequenta un corso di formazione di 12 mesi. A contratto, sono previste dodici giornate di formazione ogni anno, sei sull’uso delle armi e sugli aggiornamenti tecnici, altre sei su compiti differenti e definiti in base alle necessità.
Le selezioni sono nazionali: gli agenti vengono mandati nelle diverse carceri a seconda delle esigenze. Per questo motivo, sono numerosi gli agenti che lavorano a distanza dalla proprie residenze, vivendo in caserme vicino al luogo di lavoro, e facendo per anni i pendolari su lunghe distanze.
lunedì 5 marzo 2007
Parlando con... Giuseppe Pericu- Il sindaco di Genova risponde alle domande dei detenuti

Perché era favorevole o contrario all’indulto?
Ero e resto favorevole all’indulto perché la situazione nelle carceri italiane non consentitva più una gestione umanamente accettabile.
Pensa che dopo l’indulto siano aumentati i reati?
Non penso che i reati siano aumentati per questo motivo, e le statistiche disponibili confermano questa impressione.
Si perdono consensi elettorali a votare a favore dell’indulto?
Perdere consensi per questo motivo è possibile, ma questo non deve frenare l’adozione di una misura necessaria.
Se mi fossi trovato al governo avrei sostenuto questo provvedimento.
Le risulta che siano state predisposte forme di sostegno per i detenuti che sono usciti con l’indulto? E le istituzioni locali sono intervenute per tempo e nelle forme adeguate?
Certo si sono verificati probelemi di ricaduta nella gestione del provvedimento abbastanza complessi, e probabilmente né lo stato né le amministrazioni locali hanno reagito in modo adeguato. Era sicuramente opportuno cha accanto all’indulto nel provvedimento fossero presenti indicazioni e risorse per svolgere gli interventi operativi necessari a accompagnare l’attuazione della legge
Pensa che il carcere abbia davvero una valenza non solo punitiva, ma anche riabilitativa?
Ho sempre pensato che il carcere dovesse avere una valenza riabilitativa.
Mi sembra, da quello che conosco, che non sia sufficientemente sviluppata questa funzione riabilitativa, e che prevalga nei fatti quella punitiva. Ciò determina anche il fatto che misure rivolte ai singoli o alla collettività dei detenuti che determinano alleviamenti della pena vengano interpretate in modo scorretto: dovremo essere tutti più convinti che il carcere serve a recuperare e rieducare.
Qual è per lei il reato più grave e quello più lieve?
I reati più gravi mi sembrano quelli della violenza contro le persone, la strage. I meno gravi quelli che vengono commessi da soggetti deboli, spesso per motivi di mera sopravvivenza.
Ma è sempre difficile e problematico stabilire graduatorie precise in questa materia.
Le sue opinioni sull’indulto come Primo cittadino e come cittadino privato coincidono?
Sì, certamente. Penso quello che ho detto sia come sindaco, sia come cittadino.
Le interesserebbe conoscere le opinioni di noi detenuti su questi e altri argomenti?
Certo, mi farebbe piacere conoscere le opinioni dei detenuti.
(Gennaio 2007)
I detenuti della redazione interna al carcere di Marassi intervistano il loro direttore
Direttore, qual è il suo ruolo istituzionale?
Devo garantire la funzionalità dell’istituto sotto il profi lo della struttura e della sicurezza e curare il trattamento rieducativo. Registro grandi diffi coltà perché i mezzi a mia disposizione sono inadeguati e c’è una grossa carenza di personale. Sono qui da tre anni e all’inizio, mi sono occupato prevalentemente della sicurezza. Ora curo l’aspetto trattamentale, che era molto carente anche se io non sono considerato un direttore trattamentale. L’inaugurazione del nuovo campo sportivo e il progetto, in fase di elaborazione, di una falegnameria e di una panetteria, ne sono la dimostrazione. Ho molti compiti, ho diviso le sezioni tra le mie due Vicedirettrici, che si occupano della prima e della seconda, mentre io della sezione attenuata e dell’alta sicurezza. Ricevo spesso lettere dai detenuti con tanti problemi e, cerco di fare quello che posso.
Crede al recupero del detenuto? Ha da raccontarci qualche episodio signifi cativo?
Ci credo, altrimenti non farei questo mestiere. Il problema del recupero è complesso perché non può avvenire soltanto con il carcere, perché accanto a un’istituzione penitenziaria con corsi scolastici, religione e altro occorre un’assistenza post-penitenziaria che si prenda carico del detenuto quando esce e deve affrontare un mare di problemi. Ho conosciuto un detenuto tossicodipendente che mi chiese l’art. 21 quando ero direttore al carcere d’Aosta, io ero scettico, ero convinto che sarebbe rientrato presto. Quel ragazzo però mi disse una cosa che mi colpì: “C’è un fatto nuovo nella mia vita: mia moglie aspetta un bambino e sono convinto che questo cambierà la mia vita.” Gli ho creduto e dopo tanti anni l’ho incontrato I detenuti della redazione interna al carcere di Marassi incontrano e intervistano il loro direttore, Salvatore Mazzeo Parlando con... alla guida di un pullman su cui ero salito.
Un detenuto è morto cadendo dal terzo piano del letto a castello: siamo in uno stato d’emergenza per il sovraffollamento? Sono previste sistemazioni per persone detenute in età avanzata?
L’incidente capitato è stato terribile. I letti a castello non dovrebbero effettivamente esistere. Mi ricordo che all’Ucciardone i letti a castello erano addirittura a cinque piani, i detenuti dovevano arrampicarsi e legarsi con un laccio per non cadere: era indecoroso. Un carcere civile non può ammettere queste cose, ma è un problema che investe la politica penitenziaria ed è più grosso di me. Tutti quanti dobbiamo sentirci offesi quando una persona muore. Siamo in uno stato d’emergenza che riguarda però tutti gli istituti penitenziari con 60.000 detenuti. Qui a Marassi ci sono 700 detenuti, mentre il numero massimo dovrebbe essere di circa 400. Tre anni fa, quando sono arrivato, c’erano 850 detenuti, ma ho cercato di non superare i 700. Alcuni istituti sono in una situazione peggiore. Il problema non si risolve solo con la costruzione di nuove carceri, ma lo si affronta con opportunità di lavoro e sovvenzionando le comunità terapeutiche, poiché un terzo dei detenuti sono tossicodipendenti. Costoro in carcere non dovrebbe proprio entrare, ma essere curati, perché hanno una situazione psico-fisica impressionante: è veramente una crudeltà tenerli qui. Sono i politici che devono intervenire. Non si può scherzare sulla pelle dei detenuti, parlando d’amnistia e creando aspettative senza mantenerle. La legge prevede, per gli ultrasettantenni, la sospensione della pena, ma non in caso di recidiva, con la legge ex Cirielli, che considero catastrofi ca. A dicembre ho partecipato ad una conferenza nazionale a Palermo sulle tossicodipendenze. E’ stata ribadita la contrarietà alle nuove disposizioni sulla recidiva dei tossicodipendenti e il ministro Giovanardi s’è impegnato a modifi care la legge su quest’aspetto ed è avvenuto.
Gli agenti hanno un ruolo solo custodiale o anche trattamentale?
Hanno un ruolo anche trattamentale, ma sono più attenti agli aspetti della sicurezza. Insegnando alla scuola di polizia penitenziaria a Cairo Montenotte sono consapevole di dover rafforzare questa cultura nel nostro personale. Alcuni episodi d’aggressività verbale, spesso dipendono da situazioni di stress psicofi sico che il detenuto deve sopportare per le sue vicende personali. E’ perciò necessario farsi anche carico dei suoi bisogni solo così il detenuto vedrà nell’agente la componente trattamentale e non solo colui che lo chiude. Perché sono trasferiti lontano detenuti che hanno qui famiglia e fi gli? La legge prevede che, nel limite del possibile, il detenuto debba stare vicino alla famiglia in ambito regionale. Ci sono trasferimenti del Dipartimento a livello centrale e del Provveditorato a livello regionale. Noi chiediamo solo il numero dei detenuti che devono essere sfollati, poi le valutazioni le fa il Dipartimento. Cerchiamo di non trasferire chi frequenta corsi scolastici, anche se il numero degli iscritti è molto alto, sono più di 200 e può accadere che qualche nominativo sfugga.
Come si può facilitare la comprensione delle regole penitenziarie a molti detenuti stranieri?
Attualmente esistono solo ordini di servizio che non tutti conoscono, stiamo lavorando al regolamento interno che faciliterà la comprensione. Abbiamo elaborato un progetto denominato Stranieri e droga e credo che sarà operativo ad aprile. Anche i detenuti elaboreranno delle proposte nei gruppi di lavoro.
Ritiene importante ristabilire il corretto funzionamento della biblioteca ?
Cercherò una soluzione a questo problema in tempi brevi per individuare uno o più responsabili. Mi sembra realizzabile l’inserimento di alcuni computer all’interno della biblioteca a disposizione dell’utenza, visto che attualmente non li autorizziamo, perché diffi cilmente ispezionabili.
E’ possibile adibire locali attrezzati per hobbistica, pittura, modellismo, ecc…?
Il problema è lo spazio: la palestra è utilizzata anche come luogo di culto, mancano aule scolastiche, ecc… sarebbe molto utile creare un piccolo laboratorio per l’hobbistica all’interno della II sezione. Ci sono detenuti di molte religioni, gli spazi sono pochi e non ho soluzioni. La religione è importante e noi vogliamo conservare le tradizioni degli stranieri e la loro cultura.
Che fondi ci sono a disposizione per migliorare la struttura scolastica?
La disponibilità fi nanziaria è limitata, non abbiamo neanche i soldi per il detenuto che esce, dobbiamo riciclare tutti i materiali. Se ci dovessero essere dei fondi, li utilizzeremo senz’altro.
Molti detenuti stranieri non possono avere il permesso di colloquio con terza persona anche italiana, perché non hanno il foglio di convivenza, ma spesso hanno dei fi gli. Cosa possono fare?
I parenti senza il permesso di soggiorno dovrebbero essere denunciati dagli agenti, quindi preferiamo evitare il problema. Il colloquio con terza persona italiana deve essere giustifi cato da ragioni particolari: atti giuridici, notarili, ecc. Se ci sono dei fi gli e c’è una certifi cazione di paternità concediamo sempre i colloqui. Perché passando dalla prima alla seconda sezione sono sospese le telefonate o i colloqui precedentemente autorizzati? Il magistrato non è vincolato al regolamento penitenziario che vincola solo noi. Il magistrato può prescindere dal regolamento e può autorizzare anche telefonate giornaliere, noi no. Con terza persona autorizziamo solo telefonate in casi urgenti, di trasferimento o con fi gli di età inferiore ai 10 anni.
Perché i detenuti stranieri e italiani che non fanno colloquio non possono ricevere almeno il pacco da persone che non hanno lo stesso cognome?
Per gli italiani si possono modifi care le disposizioni, per gli stranieri è un problema che devo affrontare. Perché non si può telefonare ai cellulari e non si può fare una domandina con un’unica autorizzazione per le quattro telefonate al mese? Una circolare che vieta il colloquio con il cellulare perché dobbiamo conoscere l’interlocutore. Ho già predisposto con il comandante un modello unico per le telefonate e si potrà fare una domanda unica.
Perché ai detenuti senza soldi non vengono mai erogati dei sussidi?
Perché non ce ne sono al momento. Essi arrivano alla fine dell’anno e noi li diamo sempre, anche perché, se no, dovremmo restituirli.
E’ possibile attivare qui un laboratorio teatrale stabile?
Abbiamo istituito un’associazione sportiva permanente, un corso per arbitri, una squadra di calcio di detenuti che partecipa ad un torneo esterno. Vogliamo stabilizzare tutte le attività, nostro obiettivo è creare una struttura teatrale stabile. Quest’anno abbiamo iniziato con un’esperienza teatrale, legata ad un corso scolastico, che si concluderà con una rappresentazione all’esterno. Mi metto le mani nei capelli, perché molti dei detenuti-attori sono ancora giudicabili e con pene abbastanza lunghe. Devo compiere un’opera di convincimento nei confronti dei magistrati per farli uscire fuori.
Si potrebbero attrezzare le sale colloquio con tavolini, per il rispetto dell’intimità familiare?
Si può fare, cercherò di eliminare i muri divisori, anche perché il nuovo regolamento non li prevede. Cercheremo di toglierli e di stabilire qualcosa di più adeguato.
Sarebbe possibile favorire gli incontri tra i detenuti e le loro mogli, come avviene in altre carceri europee, anche al fi ne di avere dei figli?
Di questo problema s’occupò, tanti anni fa, il Presidente Amato, in relazione ai problemi dell’affettività del detenuto. Ci sono due posizioni differenti: alcuni sono favorevoli, altri ritengono poco dignitoso per il detenuto avere una stanza in cui incontrarsi con la compagna. Credo sia meglio favorire i permessi premio per l’affettività. Personalmente non sarei comunque contrario.
Il compito del Ser.T è solo quello di dare metadone e psicofarmaci?
Il Ser.T dovrebbe dedicarsi totalmente al detenuto tossicodipendente sotto l’aspetto psicologico, sanitario e trattamentale per una totale presa in carico del detenuto tossicodipendente e fa da tramite con i Ser.T d’appartenenza.
Il corso odontotecnico operante a Marassi è disponibile a costruire protesi dentarie per detenuti bisognosi, con l’aiuto del dentista che lavora in carcere. Cosa ne pensa?
E’ un progetto molto interessante, verifi cate con i docenti il costo preventivo, di che tipo di locali e di materiali c’è necessità ed io valuterò la possibilità di attuarlo.
E’ possibile un ricambio più frequente delle lenzuola ed una fornitura maggiore di prodotti per la pulizia?
La questione igienico sanitaria è prioritaria, poiché la salute in carcere deve essere salvaguardata. Mi informerò e controllerò per i cambi delle lenzuola. Per i detersivi, ritengo si tratti di una disfunzione organizzativa, perché ne compriamo tanti e forse rimangono nei depositi.
E’ possibile realizzare servizi igienici nei passeggi?
Ritengo siano realizzabili. Perché qui a Marassi, si danno spesso pareri negativi sulle misure alternative, sui permessi premio e sull’art. 21?
Ci sono attualmente circa cinquanta semiliberi, per cui non mi sembra che si diano spesso pareri negativi. Bisogna seguire un certo percorso trattamentale, per primo il permesso. Il Magistrato di Sorveglianza non è vincolato al parere della Direzione e lo può dare anche con parere contrario della stessa, ma può negarlo con parere favorevole. Per il permesso noi consideriamo la condotta intramuraria ed il fi ne pena, il magistrato fa poi altri accertamenti all’esterno.
Perché spesso non è comunicato al detenuto quando prende un rapporto? Perché con le ammonizioni si perdono punti nella graduatoria del lavoro interno?
Noi non siamo tenuti a comunicare il rapporto, quando non si conclude con una sanzione disciplinare e con la convocazione del detenuto davanti al consiglio di disciplina. La legge prevede che si comunichino solo sanzioni, non rapporti. Il magistrato ci chiede la situazione e per alcuni ha una valenza il nostro rapporto, pur non seguito da sanzione. Per me quello che conta è la sanzione e se non c’è il rapporto non ha nessuna valenza, ma il magistrato è libero di fare le sue valutazioni . Con le ammonizioni si perdono punti nella graduatoria del lavoro perché, se anche la sanzione è stata sospesa c’è stata una condotta irregolare. (Giugno 2006)
Devo garantire la funzionalità dell’istituto sotto il profi lo della struttura e della sicurezza e curare il trattamento rieducativo. Registro grandi diffi coltà perché i mezzi a mia disposizione sono inadeguati e c’è una grossa carenza di personale. Sono qui da tre anni e all’inizio, mi sono occupato prevalentemente della sicurezza. Ora curo l’aspetto trattamentale, che era molto carente anche se io non sono considerato un direttore trattamentale. L’inaugurazione del nuovo campo sportivo e il progetto, in fase di elaborazione, di una falegnameria e di una panetteria, ne sono la dimostrazione. Ho molti compiti, ho diviso le sezioni tra le mie due Vicedirettrici, che si occupano della prima e della seconda, mentre io della sezione attenuata e dell’alta sicurezza. Ricevo spesso lettere dai detenuti con tanti problemi e, cerco di fare quello che posso.
Crede al recupero del detenuto? Ha da raccontarci qualche episodio signifi cativo?
Ci credo, altrimenti non farei questo mestiere. Il problema del recupero è complesso perché non può avvenire soltanto con il carcere, perché accanto a un’istituzione penitenziaria con corsi scolastici, religione e altro occorre un’assistenza post-penitenziaria che si prenda carico del detenuto quando esce e deve affrontare un mare di problemi. Ho conosciuto un detenuto tossicodipendente che mi chiese l’art. 21 quando ero direttore al carcere d’Aosta, io ero scettico, ero convinto che sarebbe rientrato presto. Quel ragazzo però mi disse una cosa che mi colpì: “C’è un fatto nuovo nella mia vita: mia moglie aspetta un bambino e sono convinto che questo cambierà la mia vita.” Gli ho creduto e dopo tanti anni l’ho incontrato I detenuti della redazione interna al carcere di Marassi incontrano e intervistano il loro direttore, Salvatore Mazzeo Parlando con... alla guida di un pullman su cui ero salito.
Un detenuto è morto cadendo dal terzo piano del letto a castello: siamo in uno stato d’emergenza per il sovraffollamento? Sono previste sistemazioni per persone detenute in età avanzata?
L’incidente capitato è stato terribile. I letti a castello non dovrebbero effettivamente esistere. Mi ricordo che all’Ucciardone i letti a castello erano addirittura a cinque piani, i detenuti dovevano arrampicarsi e legarsi con un laccio per non cadere: era indecoroso. Un carcere civile non può ammettere queste cose, ma è un problema che investe la politica penitenziaria ed è più grosso di me. Tutti quanti dobbiamo sentirci offesi quando una persona muore. Siamo in uno stato d’emergenza che riguarda però tutti gli istituti penitenziari con 60.000 detenuti. Qui a Marassi ci sono 700 detenuti, mentre il numero massimo dovrebbe essere di circa 400. Tre anni fa, quando sono arrivato, c’erano 850 detenuti, ma ho cercato di non superare i 700. Alcuni istituti sono in una situazione peggiore. Il problema non si risolve solo con la costruzione di nuove carceri, ma lo si affronta con opportunità di lavoro e sovvenzionando le comunità terapeutiche, poiché un terzo dei detenuti sono tossicodipendenti. Costoro in carcere non dovrebbe proprio entrare, ma essere curati, perché hanno una situazione psico-fisica impressionante: è veramente una crudeltà tenerli qui. Sono i politici che devono intervenire. Non si può scherzare sulla pelle dei detenuti, parlando d’amnistia e creando aspettative senza mantenerle. La legge prevede, per gli ultrasettantenni, la sospensione della pena, ma non in caso di recidiva, con la legge ex Cirielli, che considero catastrofi ca. A dicembre ho partecipato ad una conferenza nazionale a Palermo sulle tossicodipendenze. E’ stata ribadita la contrarietà alle nuove disposizioni sulla recidiva dei tossicodipendenti e il ministro Giovanardi s’è impegnato a modifi care la legge su quest’aspetto ed è avvenuto.
Gli agenti hanno un ruolo solo custodiale o anche trattamentale?
Hanno un ruolo anche trattamentale, ma sono più attenti agli aspetti della sicurezza. Insegnando alla scuola di polizia penitenziaria a Cairo Montenotte sono consapevole di dover rafforzare questa cultura nel nostro personale. Alcuni episodi d’aggressività verbale, spesso dipendono da situazioni di stress psicofi sico che il detenuto deve sopportare per le sue vicende personali. E’ perciò necessario farsi anche carico dei suoi bisogni solo così il detenuto vedrà nell’agente la componente trattamentale e non solo colui che lo chiude. Perché sono trasferiti lontano detenuti che hanno qui famiglia e fi gli? La legge prevede che, nel limite del possibile, il detenuto debba stare vicino alla famiglia in ambito regionale. Ci sono trasferimenti del Dipartimento a livello centrale e del Provveditorato a livello regionale. Noi chiediamo solo il numero dei detenuti che devono essere sfollati, poi le valutazioni le fa il Dipartimento. Cerchiamo di non trasferire chi frequenta corsi scolastici, anche se il numero degli iscritti è molto alto, sono più di 200 e può accadere che qualche nominativo sfugga.
Come si può facilitare la comprensione delle regole penitenziarie a molti detenuti stranieri?
Attualmente esistono solo ordini di servizio che non tutti conoscono, stiamo lavorando al regolamento interno che faciliterà la comprensione. Abbiamo elaborato un progetto denominato Stranieri e droga e credo che sarà operativo ad aprile. Anche i detenuti elaboreranno delle proposte nei gruppi di lavoro.
Ritiene importante ristabilire il corretto funzionamento della biblioteca ?
Cercherò una soluzione a questo problema in tempi brevi per individuare uno o più responsabili. Mi sembra realizzabile l’inserimento di alcuni computer all’interno della biblioteca a disposizione dell’utenza, visto che attualmente non li autorizziamo, perché diffi cilmente ispezionabili.
E’ possibile adibire locali attrezzati per hobbistica, pittura, modellismo, ecc…?
Il problema è lo spazio: la palestra è utilizzata anche come luogo di culto, mancano aule scolastiche, ecc… sarebbe molto utile creare un piccolo laboratorio per l’hobbistica all’interno della II sezione. Ci sono detenuti di molte religioni, gli spazi sono pochi e non ho soluzioni. La religione è importante e noi vogliamo conservare le tradizioni degli stranieri e la loro cultura.
Che fondi ci sono a disposizione per migliorare la struttura scolastica?
La disponibilità fi nanziaria è limitata, non abbiamo neanche i soldi per il detenuto che esce, dobbiamo riciclare tutti i materiali. Se ci dovessero essere dei fondi, li utilizzeremo senz’altro.
Molti detenuti stranieri non possono avere il permesso di colloquio con terza persona anche italiana, perché non hanno il foglio di convivenza, ma spesso hanno dei fi gli. Cosa possono fare?
I parenti senza il permesso di soggiorno dovrebbero essere denunciati dagli agenti, quindi preferiamo evitare il problema. Il colloquio con terza persona italiana deve essere giustifi cato da ragioni particolari: atti giuridici, notarili, ecc. Se ci sono dei fi gli e c’è una certifi cazione di paternità concediamo sempre i colloqui. Perché passando dalla prima alla seconda sezione sono sospese le telefonate o i colloqui precedentemente autorizzati? Il magistrato non è vincolato al regolamento penitenziario che vincola solo noi. Il magistrato può prescindere dal regolamento e può autorizzare anche telefonate giornaliere, noi no. Con terza persona autorizziamo solo telefonate in casi urgenti, di trasferimento o con fi gli di età inferiore ai 10 anni.
Perché i detenuti stranieri e italiani che non fanno colloquio non possono ricevere almeno il pacco da persone che non hanno lo stesso cognome?
Per gli italiani si possono modifi care le disposizioni, per gli stranieri è un problema che devo affrontare. Perché non si può telefonare ai cellulari e non si può fare una domandina con un’unica autorizzazione per le quattro telefonate al mese? Una circolare che vieta il colloquio con il cellulare perché dobbiamo conoscere l’interlocutore. Ho già predisposto con il comandante un modello unico per le telefonate e si potrà fare una domanda unica.
Perché ai detenuti senza soldi non vengono mai erogati dei sussidi?
Perché non ce ne sono al momento. Essi arrivano alla fine dell’anno e noi li diamo sempre, anche perché, se no, dovremmo restituirli.
E’ possibile attivare qui un laboratorio teatrale stabile?
Abbiamo istituito un’associazione sportiva permanente, un corso per arbitri, una squadra di calcio di detenuti che partecipa ad un torneo esterno. Vogliamo stabilizzare tutte le attività, nostro obiettivo è creare una struttura teatrale stabile. Quest’anno abbiamo iniziato con un’esperienza teatrale, legata ad un corso scolastico, che si concluderà con una rappresentazione all’esterno. Mi metto le mani nei capelli, perché molti dei detenuti-attori sono ancora giudicabili e con pene abbastanza lunghe. Devo compiere un’opera di convincimento nei confronti dei magistrati per farli uscire fuori.
Si potrebbero attrezzare le sale colloquio con tavolini, per il rispetto dell’intimità familiare?
Si può fare, cercherò di eliminare i muri divisori, anche perché il nuovo regolamento non li prevede. Cercheremo di toglierli e di stabilire qualcosa di più adeguato.
Sarebbe possibile favorire gli incontri tra i detenuti e le loro mogli, come avviene in altre carceri europee, anche al fi ne di avere dei figli?
Di questo problema s’occupò, tanti anni fa, il Presidente Amato, in relazione ai problemi dell’affettività del detenuto. Ci sono due posizioni differenti: alcuni sono favorevoli, altri ritengono poco dignitoso per il detenuto avere una stanza in cui incontrarsi con la compagna. Credo sia meglio favorire i permessi premio per l’affettività. Personalmente non sarei comunque contrario.
Il compito del Ser.T è solo quello di dare metadone e psicofarmaci?
Il Ser.T dovrebbe dedicarsi totalmente al detenuto tossicodipendente sotto l’aspetto psicologico, sanitario e trattamentale per una totale presa in carico del detenuto tossicodipendente e fa da tramite con i Ser.T d’appartenenza.
Il corso odontotecnico operante a Marassi è disponibile a costruire protesi dentarie per detenuti bisognosi, con l’aiuto del dentista che lavora in carcere. Cosa ne pensa?
E’ un progetto molto interessante, verifi cate con i docenti il costo preventivo, di che tipo di locali e di materiali c’è necessità ed io valuterò la possibilità di attuarlo.
E’ possibile un ricambio più frequente delle lenzuola ed una fornitura maggiore di prodotti per la pulizia?
La questione igienico sanitaria è prioritaria, poiché la salute in carcere deve essere salvaguardata. Mi informerò e controllerò per i cambi delle lenzuola. Per i detersivi, ritengo si tratti di una disfunzione organizzativa, perché ne compriamo tanti e forse rimangono nei depositi.
E’ possibile realizzare servizi igienici nei passeggi?
Ritengo siano realizzabili. Perché qui a Marassi, si danno spesso pareri negativi sulle misure alternative, sui permessi premio e sull’art. 21?
Ci sono attualmente circa cinquanta semiliberi, per cui non mi sembra che si diano spesso pareri negativi. Bisogna seguire un certo percorso trattamentale, per primo il permesso. Il Magistrato di Sorveglianza non è vincolato al parere della Direzione e lo può dare anche con parere contrario della stessa, ma può negarlo con parere favorevole. Per il permesso noi consideriamo la condotta intramuraria ed il fi ne pena, il magistrato fa poi altri accertamenti all’esterno.
Perché spesso non è comunicato al detenuto quando prende un rapporto? Perché con le ammonizioni si perdono punti nella graduatoria del lavoro interno?
Noi non siamo tenuti a comunicare il rapporto, quando non si conclude con una sanzione disciplinare e con la convocazione del detenuto davanti al consiglio di disciplina. La legge prevede che si comunichino solo sanzioni, non rapporti. Il magistrato ci chiede la situazione e per alcuni ha una valenza il nostro rapporto, pur non seguito da sanzione. Per me quello che conta è la sanzione e se non c’è il rapporto non ha nessuna valenza, ma il magistrato è libero di fare le sue valutazioni . Con le ammonizioni si perdono punti nella graduatoria del lavoro perché, se anche la sanzione è stata sospesa c’è stata una condotta irregolare. (Giugno 2006)
Intervista a Elena Ducci, responsabile dell’Unità Operativa Ser.T. Val Bisagno e Strutture Penitenziarie della ASL 3 Genovese
Dottoressa Ducci, in che modo lavora il Ser.T. all’interno delle Carceri Genovesi?
A Genova si è scelto di avere un presidio all’interno del carcere. In questo modo si permette agli operatori di vivere maggiormente la quotidianità del carcere. Non è sempre facile; da una parte è un vantaggio avere un maggior contatto fra gli operatori, ma l’attività deve essere doppia: una sul paziente e l’altra sul “contesto carcere”. La difficoltà di mettere in rete le varie forze e la comunicazione all’interno del carcere è sempre presente.
Come e quando interviene il Ser.T. nel percorso del detenuto tossicodipendente?
I pazienti ci vengono segnalati dal medico del Ministero di Giustizia dopo la visita d’ingresso. Il medico del Ser.T. fa la diagnosi e prescrive la terapia, mantenendo un contatto con il Ser.T. territoriale in modo da assicurare una continuità di trattamento. Contemporaneamente anche lo psicologo interviene con la prima visita specifica psicologica.
Nel caso l’utente non sia seguito da un Ser.T. territoriale?
Cerchiamo di stabilire noi un contatto. Bisogna tenere presente che la persona che noi ci troviamo davanti non viene di sua spontanea volontà, e non ha posto una specifica richiesta di cura. Certo, nella maggior parte dei casi è dentro per problemi correlati al suo stato di tossicodipendenza, ma non è lui che sceglie di venire da noi (Ser.T) per avere assistenza. Il nostro obiettivo è quindi quello di “agganciare il paziente” al trattamento, di cominciare un percorso. L’urgenza a questo livello è quella di affrontare le problematiche relative all’astinenza dalla sostanza, e questo per due motivi: da un parte difatti, fa parte del codice deontologico del medico affrontare il dolore del paziente e farlo passare, ma d’altra parte, se il paziente si sente seguito e sostenuto, è più probabile che decida di continuare la terapia anche all’esterno del carcere.
Il secondo livello di assistenza?
Affrontate le problematiche base del dolore e dell’astinenza, ci sono alcuni progetti specifici in un’ottica psico-socioriabilitativa, rivolti a detenuti tossicodipendenti HIV+ presso il Centro Clinico o la sezione a Custodia Attenuata, ponte fra il carcere e le comunità esterne.
Quali sono le peculiarità del trattamento in carcere?
Principalmente il fatto che, se dal punto di vista normativo il carcere deve avere oltre la sicurezza il trattamento, in realtà nella pratica il mandato della sicurezza acquista maggior peso.
Le persone entrano dentro perché hanno commesso un reato, qualcosa di sbagliato lo hanno fatto, e l’esigenza del controllo a volte prende il sopravvento: se tu stai male e vai in una clinica privata, oltre a curarti ti chiedono se hai bisogni extra, in carcere ci si chiede perchè tu mostri di star male, cosa vuoi ottenere, se non hai secondi fini.... ecco perché è fondamentale la comunicazione fra tutti.
Altre problematiche?
Vi sono quelle di tipo clinico. Nel contesto ambulatoriale il paziente arriva autonomamente. Qui il primo pensiero è naturalmente quello di uscire dal carcere... Quindi dobbiamo prevederne l’uscita nel modo più coerente con il suo stato di salute, in modo che non vi siano frustrazioni e quindi ricadute, anche se nei primi sei mesi la percentuale di chi rientra è comunque alta.
Dalle statistiche pubblicate sui giornali, circa la metà della popolazione è straniera, e di questi molti sono senza permesso di soggiorno. Vi è uniformità nel trattamento?
Anche qui ci sono delle grandi difficoltà. Secondo la legge Jervolino/Vassalli ogni detenuto con pena inferiore ai quattro anni può richiedere misure alternative alla detenzione. Il trattamento terapeutico e l’assistenza sanitaria inoltre sono garantiti per tutti. Con la Bossi/Fini invece, vengono poste alcune condizioni, il trattamento è subordinato alla pena da scontare e alla successiva espulsione. Questo vuol dire che se si indirizza una persona in comunità studiando un percorso personalizzato di un anno e mezzo, se il detenuto ha una pena inferiore, al termine della pena va espulsa anche se non ha terminato il trattamento. E viceversa: la comunità studia un percorso di un anno, il detenuto ha da scontare tre anni, al termine del primo anno questa persona non avrà la possibilità di essere seguito ambulatorialmente perchè non ha una casa, non potrà fare un inserimento lavorativo, perchè irregolare.
Quali necessità emergono nel lavoro con extracomunitari irregolari?
Personalmente sento l’esigenza di un servizio ad hoc che si occupi di loro. Non per escluderli dai normali percorsi, ma per dare una risposta ad esigenze particolari, e fare anche in maniera che, usciti dal carcere, possano continuare il loro percorso non più da costretti, ma volontariamente. Gli stranieri affrontano le problematiche relative alla tossicodipendenza solo in carcere. Può essere utile, ma non certamente sufficiente.
Poi, bisogna tenere conto che un extracomunitario che sta per venire espulso dall’Italia ha bisogno di essere messo in condizione di acquisire della capacità professionali. In questo modo il rientro in patria può essere dignitoso, non di chi ha fallito, e si ripresenta frustrato davanti alla famiglia, ma di chi può costruirsi una vita autonoma portandosi dietro un’esperienza che può dare i suoi frutti.
Che giudizio dà sulle attività del Ser.T. in carcere?
La valutazione complessiva è buona e le offerte sono ben diversificate, in funzione delle risorse che abbiamo.
(Ottobre 2005)
A Genova si è scelto di avere un presidio all’interno del carcere. In questo modo si permette agli operatori di vivere maggiormente la quotidianità del carcere. Non è sempre facile; da una parte è un vantaggio avere un maggior contatto fra gli operatori, ma l’attività deve essere doppia: una sul paziente e l’altra sul “contesto carcere”. La difficoltà di mettere in rete le varie forze e la comunicazione all’interno del carcere è sempre presente.
Come e quando interviene il Ser.T. nel percorso del detenuto tossicodipendente?
I pazienti ci vengono segnalati dal medico del Ministero di Giustizia dopo la visita d’ingresso. Il medico del Ser.T. fa la diagnosi e prescrive la terapia, mantenendo un contatto con il Ser.T. territoriale in modo da assicurare una continuità di trattamento. Contemporaneamente anche lo psicologo interviene con la prima visita specifica psicologica.
Nel caso l’utente non sia seguito da un Ser.T. territoriale?
Cerchiamo di stabilire noi un contatto. Bisogna tenere presente che la persona che noi ci troviamo davanti non viene di sua spontanea volontà, e non ha posto una specifica richiesta di cura. Certo, nella maggior parte dei casi è dentro per problemi correlati al suo stato di tossicodipendenza, ma non è lui che sceglie di venire da noi (Ser.T) per avere assistenza. Il nostro obiettivo è quindi quello di “agganciare il paziente” al trattamento, di cominciare un percorso. L’urgenza a questo livello è quella di affrontare le problematiche relative all’astinenza dalla sostanza, e questo per due motivi: da un parte difatti, fa parte del codice deontologico del medico affrontare il dolore del paziente e farlo passare, ma d’altra parte, se il paziente si sente seguito e sostenuto, è più probabile che decida di continuare la terapia anche all’esterno del carcere.
Il secondo livello di assistenza?
Affrontate le problematiche base del dolore e dell’astinenza, ci sono alcuni progetti specifici in un’ottica psico-socioriabilitativa, rivolti a detenuti tossicodipendenti HIV+ presso il Centro Clinico o la sezione a Custodia Attenuata, ponte fra il carcere e le comunità esterne.
Quali sono le peculiarità del trattamento in carcere?
Principalmente il fatto che, se dal punto di vista normativo il carcere deve avere oltre la sicurezza il trattamento, in realtà nella pratica il mandato della sicurezza acquista maggior peso.
Le persone entrano dentro perché hanno commesso un reato, qualcosa di sbagliato lo hanno fatto, e l’esigenza del controllo a volte prende il sopravvento: se tu stai male e vai in una clinica privata, oltre a curarti ti chiedono se hai bisogni extra, in carcere ci si chiede perchè tu mostri di star male, cosa vuoi ottenere, se non hai secondi fini.... ecco perché è fondamentale la comunicazione fra tutti.
Altre problematiche?
Vi sono quelle di tipo clinico. Nel contesto ambulatoriale il paziente arriva autonomamente. Qui il primo pensiero è naturalmente quello di uscire dal carcere... Quindi dobbiamo prevederne l’uscita nel modo più coerente con il suo stato di salute, in modo che non vi siano frustrazioni e quindi ricadute, anche se nei primi sei mesi la percentuale di chi rientra è comunque alta.
Dalle statistiche pubblicate sui giornali, circa la metà della popolazione è straniera, e di questi molti sono senza permesso di soggiorno. Vi è uniformità nel trattamento?
Anche qui ci sono delle grandi difficoltà. Secondo la legge Jervolino/Vassalli ogni detenuto con pena inferiore ai quattro anni può richiedere misure alternative alla detenzione. Il trattamento terapeutico e l’assistenza sanitaria inoltre sono garantiti per tutti. Con la Bossi/Fini invece, vengono poste alcune condizioni, il trattamento è subordinato alla pena da scontare e alla successiva espulsione. Questo vuol dire che se si indirizza una persona in comunità studiando un percorso personalizzato di un anno e mezzo, se il detenuto ha una pena inferiore, al termine della pena va espulsa anche se non ha terminato il trattamento. E viceversa: la comunità studia un percorso di un anno, il detenuto ha da scontare tre anni, al termine del primo anno questa persona non avrà la possibilità di essere seguito ambulatorialmente perchè non ha una casa, non potrà fare un inserimento lavorativo, perchè irregolare.
Quali necessità emergono nel lavoro con extracomunitari irregolari?
Personalmente sento l’esigenza di un servizio ad hoc che si occupi di loro. Non per escluderli dai normali percorsi, ma per dare una risposta ad esigenze particolari, e fare anche in maniera che, usciti dal carcere, possano continuare il loro percorso non più da costretti, ma volontariamente. Gli stranieri affrontano le problematiche relative alla tossicodipendenza solo in carcere. Può essere utile, ma non certamente sufficiente.
Poi, bisogna tenere conto che un extracomunitario che sta per venire espulso dall’Italia ha bisogno di essere messo in condizione di acquisire della capacità professionali. In questo modo il rientro in patria può essere dignitoso, non di chi ha fallito, e si ripresenta frustrato davanti alla famiglia, ma di chi può costruirsi una vita autonoma portandosi dietro un’esperienza che può dare i suoi frutti.
Che giudizio dà sulle attività del Ser.T. in carcere?
La valutazione complessiva è buona e le offerte sono ben diversificate, in funzione delle risorse che abbiamo.
(Ottobre 2005)
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